top of page
Immagine del redattoreRedazione

“DRIIINN: SI SALVI CHI PUÒ! La figura dello psicologo nel mondo della scuola /2

Chi sono io? Cosa mi accade? Perché i grandi non mi capiscono? Queste sono solo alcune delle domande tipiche dei ragazzi che crescendo cercano di trovare risposta ai loro dubbi ma che, avvolti da titubanze e interrogativi, faticano a rivolgersi a genitori ed insegnanti in questa richiesta d’aiuto. Lo sportello d’ascolto, all’interno della scuola, permette ai ragazzi di incontrare una persona in grado di accogliere le loro preoccupazioni (rapporto con amici, insicurezze relative al metodo di studio, alle dinamiche con genitori ed insegnanti, al modo di gestire l’ansia durante una prestazione, ecc.), all’interno di uno spazio neutro e totalmente dedicato a loro. I dubbi non avvolgono però solo i giovani, anche a genitori ed insegnanti possono sorgere degli interrogativi su quale sia il modo più corretto con cui approcciarsi ai ragazzi, alle loro ribellioni, ai loro desideri o al loro malesseri. La storia che segue rappresenta il perfetto esempio di come a partire da un momento buio, sia stato possibile aiutare una ragazza a ripristinare il rapporto con la propria famiglia, proprio grazie al mondo scuola.

La storia di Sara

Sara (nome di fantasia), 13 anni, frequenta la terza della scuola secondaria di I grado. Arriva allo sportello scolastico grazie alla sua professoressa di italiano, che negli ultimi tempi ha notato un calo nel rendimento scolastico di Sara e una continua tristezza che non le permette più di vedere la ragazza gioiosa che conosceva. Sara confida alla professoressa di sentirsi triste, i suoi genitori sono sempre occupati con il lavoro e anche se la scuola continua con la didattica a distanza, lei si sente molto sola in casa. Continuando a spiegare la situazione di mancata comprensione con la famiglia, Sara ammette di essersi talvolta auto lesionata tagliandosi le braccia con una lametta. A quel punto la professoressa ha chiesto aiuto allo spazio d’ascolto, mettendo in evidenza una forte preoccupazione e disorientamento su come poter aiutare la sua alunna. Prendendo in carico Sara, mi è stata subito evidente la sua profonda tristezza e senso di incomprensione da parte della famiglia, che ho convocato. I genitori si sono dimostrati disponibili e sorpresi da quello che stava accadendo. In difficoltà anch’essi per la situazione causata dalla pandemia globale, ammettono di aver perso di vista Sara, che pensavano soltanto svogliata e impigrita rispetto allo studio. Attraversando la loro rabbia iniziale, i genitori si sono posti in ascolto di Sara, iniziando a comprendere che il suo decrescente impegno nella scuola era in realtà un segnale per mettere in evidenza un malessere più diffuso: hanno compreso che Sara si sentisse isolata dai pari non solo a causa della DAD, ma anche per la difficoltà nel raggiungere gli amici nel tempo libero, accettando inoltre la loro personale responsabilità nel senso di invisibilità che percepiva la figlia. Mettendo in evidenza la sofferenza di Sara, i genitori hanno riequilibrato il tempo da dedicarle sostenendola sia per terminare la scuola, sia per ripristinare il benessere di Sara nel suo tempo libero, che ora occupa con sport e incontri tra ragazzi. È tipico incontrare questo genere di storie nel mondo scuola, ma il lieto fine può incoraggiare chiunque a chiedere aiuto nel momento del bisogno. Sia in ambito familiare che scolastico, può accadere talvolta di smarrirsi, chiedere aiuto rappresenta semplicemente la possibilità di rindividuare la segnaletica utile per rimanere orientati nella vita verso la giusta direzione, verso i propri obiettivi e verso il proprio e altrui benessere.

bottom of page