I l principio di legalità, che noi stiamo esaminando, non è solo materia di natura filosofica e sociologica, ma ha anche un riferimento precipuamente politico, in quanto questo concetto lo ritroviamo nel pensiero illuminista, soprattutto dopo la Rivoluzione francese del 14 luglio 1789. Infatti, per tutelare maggiormente i diritti dei cittadini e garantirne il loro rispetto, tale principio veniva individuato come margine alle soverchierie dello Stato Assoluto. In alcuni autori, come il francese Montesquieu (Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, filosofo, pensatore politico, giurista e storico. In quattordici anni scrisse la sua opera principale: “Lo spirito delle leggi”) o l’italiano Cesare Beccaria (padre del diritto penale moderno, si definì il “filosofo della morale e della politica”. Famosa è la sua opera: “Dei delitti e delle pene”), viene sottolineato che la legge deve essere considerata come strumento di tutela della libertà del cittadino, dagli arbitrii del potere. Si trattava, quindi, di trasporre sul piano socio-politico un costrutto che nasceva da un’antica riflessione filosofica. Con questo esempio pragmatico, oltre che speculativo, si comprende meglio come la legalità non è assolutamente contraria alla libertà, ma, addirittura, ne è al suo servizio e garanzia
Ma come costola della libertà, un altro concetto affiora, in modo legittimo, come parte connaturale alla legalità: la “giustizia”. Infatti, se la libertà pone un limite alle azioni della singola persona e trova la sua misura là dove inizia la libertà dell’altro, conseguenzialmente ciò che viene compiuto acquisisce un orientato morale incline al giusto, in quanto misurato al rispetto della natura e della dignità dell’uomo.
Un concetto tanto antico, quello di giustizia, quanto estremamente attuale nella società odierna, che merita una breve considerazione. Dalla filosofia alla religione; dalla teologia alla giurisprudenza; dalla politica all’assetto amministrativo dello Stato, fino alla dimensione sociale e culturale, la giustizia è un concetto talmente alto che è considerata virtù e principio di ogni democrazia. Dike (così è definita in greco la giustizia) è lo strumento dell’uomo per sviluppare ed orientare, in modo ordinato e corretto, la propria esistenza. Nell’A. T. la giustizia è l’armonia con la legge ed il mantenimento delle promesse di Dio. Nel N. T. sono beati solo coloro che hanno fame e sete di giustizia, quindi essa è l’unica via di salvezza, ma non solo nella dimensione spirituale, ma anche terrena, infatti, nei Vangeli sinottici (Mc, Mt e Lc) è presente la pericope: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Lc), per indicare che la via della retta azione deve realizzarsi con atti di giustizia fin dalla vita terrena.
Ma è il diritto romano che fa assurgere la giustizia a principio fondamentale del vivere sociale, con la famosa allocuzione latina: “unicuique suum”, che è la rielaborazione del suum cuique tribuere (dare a ciascuno il suo). In tal senso la giustizia si lega alla libertà e ad essa è vincolata nel fare e nel dare all’altro ciò che gli spetta come diritto. Quindi giustizia come principio cardine dell’uomo (virtù cardinale insieme alla prudenza, alla fortezza ed alla temperanza), che diviene diritto inalienabile per la realizzazione della persona umana, in sé stessa e nel consesso sociale. Così affermava il Montesquieu, “Una cosa non è giusta perché è legge, ma dev’esser legge perché è giusta”. Quindi esiste una giustizia naturale, insita nella stessa natura umana e parametro di tutte le leggi, che ad essa devono mirare.
Alla voce “giustizia”, ecco la definizione che viene attribuita dal dizionario Treccani: “Virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge”. Quindi prima che cardinale e teologica, la giustizia è una virtù umana e sociale, ed è tale solo nella relazione e nelle dinamiche comunicative che tessono rapporti di sociale umanità, in cui l’essere umano realizza i suoi bisogni solo in funzione dei rapporti con l’altro, che gli permettono di esprimersi, fin da piccolo, e di realizzarsi nella sua compiutezza (si può fare riferimento alla piramide dei bisogni di Abraham Harold Maslow, conosciuta ancor meglio come Piramide di Masclow). Non meno importante è la definizione di giustizia che ne dà il Catechismo della Chiesa cattolica: “La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata «virtù di religione». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune. L’uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l’abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. «Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia» (Lv 19,15). «Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1)”.
Una giustizia che non può che essere prima umana e poi di religione e/o cristiana, in quanto il cristianesimo completa e compie nell’uomo ciò che di umano è già in esso presente. Ma dato che tutti dobbiamo avere quello che ci riguarda e ci deve essere dovuto, nel rispetto della nostra natura, ciò vuol dire che siamo tutti pienamente “uguali” nei nostri diritti e nella nostra dignità, ma non siamo, però, tutti “uguali”, in quanto diversi, nei nostri bisogni e nelle nostre necessità. Pertanto l’idea di un principio di uguaglianza è necessaria solo in termini di postulato, nel senso che come persone, come valori da rispettare e diritti da onorare, siamo sì tutti uguali, ma nel contesto pratico, nella nostra dimensione sociale, fisica, economica e culturale, siamo assolutamente differenziati. Quindi dare a tutti gli stessi “strumenti” (come i contributi o i bonus a pioggia), non è giusto, in quanto si può dare a qualcuno, superfluamente, ciò che sarebbe utile dare solo (anche in termini di spesa) a chi ne necessita realmente. Un altro concetto che deve essere collegato a quello di giustizia, pur nella sua distinzione, è il principio di equità, che consiste nel dare ciò che può essere realmente utile a chi ne ha concretamente necessità, e non a tutti. Quindi giustizia dimensionata alla natura ma anche ai diversi bisogni di ciascuno. Ma la giustizia può essere considerata non solo il dare a ciascuno quanto gli spetta per la sua piena realizzazione, ma anche il poter rimuovere tutte quelle cause di disuguaglianza (sociale, culturale, economica, politica, ecc.) che non permettono, solo ad alcuni, di vivere degnamente e serenamente la propria esistenza.