Spesso quando sappiamo che una persona soffre d’ansia tentiamo in tutti i modi placare la sia agitazione spronando la persona stessa a mantenere la calma respirando o lasciando perdere quello che la preoccupa. Pur facendo questo in buona fede, tale tipo di comportamento è in realtà controproducente dato che innesca un circolo vizioso in cui la persona, “mandando giù” la sua preoccupazione, non fa altro che insabbiare i pensieri che le occupano la mente, mettendo a covare le sue preoccupazioni che probabilmente torneranno in forma ancora più evidente.
Dobbiamo immaginare questo tipo di situazioni come una pentola a pressione: essa permette un ottimo risultato nel momento in cui ci assicuriamo di sollevare la valvola di sfiato, ma nel momento in cui non ci accertiamo che la pressione interna possa uscire poco alla volta tramite lo sfogo, rischiamo che avvenga un’esplosione deleteria. Quello che possiamo quindi fare per chi amiamo e vediamo spesso agitato, o per noi stessi nei momenti in cui sentiamo l’ansia salire è proprio assicurarci di abbassare la pressione interna tramite uno spazio di sfogo. Spesso questo può essere rappresentato da un hobby, uno sport o una distrazione, ma in questi casi si rischia di “accumulare polvere sotto il tappeto”, può servire certo, ma per rendere veramente risolutiva la situazione d’ansia è necessario andare oltre l’apparenza, risignificando l’intera propria storia e il proprio modo di funzionare davanti agli eventi. La storia di Lisa ne è l’esempio:
LA STORIA DI LISA: Liberare la mente per liberare il corpo dall’ansia
Conosco Lisa nel pieno dell’inverno 2021 e il suo benessere è arido come la stagione che sta vivendo. Si auto descrive subito come una persona ipocondriaca (in ansia per i sintomi fisici), spaventata da tutti gli acciacchi che sente ovunque nel suo corpo. Lamenta dolore cervicale, perdita dei capelli, fitte toraciche, ma più di tutto le pesa l’assenza d’aria che percepisce in alcuni momenti durante il lavoro, sensazione che la fa piangere immediatamente mentre me lo racconta. Lisa ha 31 anni, vive con il fidanzato davanti la casa dei genitori e al ristorante dove lavora, attività gestita dalla sua famiglia da ben tre generazioni. Lisa tiene molto al ristornante e a quello che significa per la sua famiglia, ma le pesano molto le continue tensioni con il padre. Lo descrive come un uomo autoritario anche se fragile dopo la malattia che l’ha colpito. Si arrabbia spesso e Lisa non riesce a far valere la sua parola. Ingoia insulti e richieste continue senza mai prendersi una pausa dal lavoro. “Le ferie non mi ricordo cosa siano, il giorno libero nemmeno perchè dopo la chiusura per la pandemia dobbiamo recuperare tutto”, mi racconta. Al pensiero di ribellarsi e cambiare lavoro si sente una traditrice, anche il padre a sua volta aveva rinunciato ai suoi sogni per proseguire l’attività di famiglia. Come può lei ora mandare in fumo tutti quei sacrifici? In nome della famiglia deve resistere e sopportare. Lisa è come se fosse in gabbia e il suo corpo prova a liberare il dolore tramite tutti i segnali che le manda. Impegnandosi a rileggere tutta la storia della famiglia, Lisa ha capito l’importanza di spezzare il circolo di sacrifici, per liberare sé stessa e le future generazioni da un lavoro che non soddisfa più. Lisa ha compreso che il bene della famiglia va oltre l’occupazione e che impegnarsi in ambiti diversi può rigenerare anche la relazione con chi si ama. Quando terminiamo il percorso, Lisa ha cambiato lavoro, ripreso una routine sana fatta di pause e weekend a casa. Il rapporto con il padre è migliorato e i suoi sintomi sono spariti. Lisa finalmente respirando, sorride.
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