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Immagine del redattoreRosaria Di Meo

Il valore dell’intelligenza emotiva nella scuola


intelligenza emotiva

La capacità di percepire, comprendere, riconoscere, utilizzare, valutare e gestire in modo consapevole le proprie emozioni costituisce l’elemento fondamentale che caratterizza il concetto di intelligenza emotiva.


Il termine “emotional intelligence” è stato coniato nel 1990 dagli psicologi americani Peter Salovey e John D. Mayer i quali in un articolo contenuto nella rivista “Imagination, Cognition and Personality” definiscono l’intelligenza emotiva come «la capacità di controllare sentimenti ed emozioni proprie e altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni».


Nel 1995, in seguito alla pubblicazione del libro “Intelligenza emotiva: cos’è e perché può renderci felici” dello psicologo e saggista Daniel Goleman, il concetto di intelligenza emotiva diviene oggetto di studio e riflessione in ambito educativo, formativo e professionale.


Goleman, secondo il quale l’intelligenza emotiva può essere appresa e migliorata, declina l’emotional intelligence in una serie di competenze fondamentali per il benessere dell’individuo, competenze che lo psicologo statunitense caratterizza in alcune abilità pratiche quali l’autoconsapevolezza del proprio stato emotivo; la gestione di sé, autoregolando le forti emozioni verso fini costruttivi; l’empatia; la motivazione e le abilità sociali necessarie per armonizzare pensieri e sentimenti, gestire efficacemente interazioni, risolvere dinamiche comunicative ed acquisire leadership.


La scuola si configura come un importante luogo di promozione dell’intelligenza emotiva, in tal senso già nel lontano 1978 lo psicologo statunitense Carl Rogers rileva che l’apprendimento viene amplificato quando si svolge in un ambiente favorevole allo sviluppo del singolo, in un ambiente nel quale «gli studenti sperimentano l’eccitazione e l’importanza della scoperta, le loro capacità, i loro limiti, l’autodisciplina e la responsabilità» e nel 2001 il filosofo italiano Umberto Galimberti evidenzia come l’apprendimento debba necessariamente implicare la gratificazione emotiva per prevenire l’analfabetismo emotivo, un analfabetismo che, nelle giovani generazioni, può essere colmato con percorsi formativi emozionali finalizzati all’autentica maturazione individuale, sociale e relazionale del discente.

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