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La democrazia: la trasformazione dell’occidente/2

La democrazia moderna nasce storicamente con le “grandi rivoluzioni borghesi” del XVII e del XVIII secolo (rivoluzione inglese, rivoluzione americana, rivoluzione francese) come reazione allo stato assoluto, caratterizzandosi come “un insieme di congegni di limitazione del potere”. Al potere assoluto del monarca si sostituisce nello stato moderno-costituzionale la divisione dei poteri in potere legislativo, esecutivo e giudiziario, per “arginare l’assolutezza del potere politico”; ai cittadini viene riconosciuta la libertà individuale (libertà religiosa, di stampa, ecc.); «mentre poi nello stato assoluto il popolo è escluso da una partecipazione all’esercizio dell’autorità politica, nello stato costituzionale il popolo è chiamato a partecipare all’esercizio della funzione legislativa e al controllo sull’amministrazione, per mezzo di persone da esso scelte e designate a formare la camera dei deputati, per mezzo della rappresentanza politica». Se libertà individuale e uguaglianza politica erano già presenti nell’Atene democratica, senza mai dimenticare che in quel contesto storico-democratico erano esclusi dalla cittadinanza e quindi dai diritti politici le donne, gli schiavi e gli stranieri, ciò che caratterizza la democrazia moderna, che è una democrazia liberale e costituzionale, è, oltre ai principi di libertà e uguaglianza, la divisione dei poteri e il principio di rappresentanza: la democrazia liberale «com’è noto, non vive solo di confronti elettorali ma di corpi intermedi, autorità indipendenti, bilanciamento dei poteri». Rispetto alla democrazia greca che era una democrazia diretta dove il popolo esercitava direttamente il potere, quella moderna è una democrazia rappresentativa dove il popolo delega il suo potere a dei rappresentanti eletti, sostituendo il principio della sovranità monarca d’origine divina col principio della sovranità popolare, ponendo al centro la libertà della persona umana «contro quella dello Stato, della Classe o della Razza. Il primato della democrazia rappresentativa contro ogni forma di dominio autoritario (e assoluto)». Nell’“ideologia del costituzionalismo”, «limitazione e legittimazione del potere risultano aspetti complementari e strettamente collegati piuttosto che contrapposti»: alla limitazione di un potere assoluto e autoritario corrisponde la legittimazione, attraverso la sovranità popolare, di un potere rappresentativo che garantisca, attraverso la divisione dei poteri e le istituzioni democratiche, libertà, uguaglianza, fraternità, felicità a tutti i cittadini contenendo “l’espansione” del potere pubblico nella vita delle singole persone e legittimando la superiorità della costituzione sulla volontà dei governanti. La democrazia greca “si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla maggioranza”, era un regime politico in cui il potere spettava a “tutti” i nati liberi: «tutti i cittadini potevano partecipare, senza alcuna limitazione derivante dalla discendenza o dal reddito, all’assemblea (ekklesia) che si riuniva una quarantina di volte all’anno sulla collina di Pnice…ed era sovrana su molte questioni fondamentali per la vita dello Stato, in primo luogo sulla guerra e sulla pace». La democrazia moderna invece “si qualifica non rispetto alla maggioranza ma rispetto ai pochi eletti dalla maggioranza del popolo”: da una parte è vero quello che afferma il diritto pubblico ovvero che “tutti i cittadini esercitano il diritto di voto e possono accedere, se eletti, alle cariche pubbliche”, ma, dall’altra parte, è altrettanto vero che sono solo gli eletti a deliberare per il popolo che li ha delegati. Questa trasformazione della democrazia da diretta a rappresentativa e delegata ha di fatto trasformato l’occidente stesso: si è passati dalla democrazia come strumento nelle mani del popolo, al popolo come strumento democratico nelle mani dei pochi oligarchi. La democrazia rappresentativa non sembra più essere in grado di garantire i principi di uguaglianza e di libertà ma si è trasformata in uno strumento del potere capitalistico neoliberista che fa profitti e crea disuguaglianza proprio attraverso la pratica democratica rappresentativa.

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