Qualche anno fa, il filosofo e biologo francese Henri Laborit scriveva un saggio intitolato Elogio della fuga.[1] In sintesi, la tesi dello studioso d’oltralpe afferma che l’uomo, lungo la sua lenta evoluzione, ha sviluppato una sorta d’istinto a fuggire dinanzi a precarie condizioni siano queste sociali, sanitarie, economiche o politiche. La fuga, per Laborit, potrebbe assicurare – nei casi di allontanamento da pericoli estremi – la permanenza in vita; in quelli meno problematici, invece, un miglioramento generale della qualità dell’esistenza. Se ad una prima impressione tale ragionamento sembrerebbe più che condivisibile, dopo una rilettura cristiana della questione affiorano una serie di dubbi circa l’effettiva veridicità della proposta di Laborit.
Una prima contrarietà emerge da quanto scrive l’anonimo autore dello scritto A Diogneto per il quale Dio ha collocato i credenti: «in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».[2] Naturalmente, il riferimento non è connesso a casi di pericolo estremo bensì a situazioni sociali, culturali e in genere politiche avverse di fronte alle quali, il credente, anziché fuggire è chiamato a restare al fine di contribuire per il miglioramento delle condizioni della realtà nella quale vive e opera. Allora, per la comunità, il cristiano è chiamato a divenire anima profonda e incisiva tanto in termini spirituali quanto su questioni sociali, culturali e politiche.
Un’altra contrarietà rispetto alle tesi di Laborit si delinea a partire dal magistero di papa Francesco. Difatti, il papa venuto dalla fine del mondo ha più volte ribadito l’evidente dimensione sociale dell’annuncio cristiano dal quale consegue l’impegno per gli altri. Ciò perché la redenzione in Cristo Gesù non riguarda soltanto il destino delle singole coscienze bensì è rivolta a tutte le relazioni umane. In tal modo, la promozione umana è una parte costitutiva dell’annuncio evangelico finalizzata non tanto a “cattolicizzare” il mondo ma a generare, insieme agli altri, spazi di fraternità, giustizia, pace e dignità per ogni uomo.
Così, per Francesco, l’annuncio del Kerygma, conduce ad una visione solidale destinata ad esprimersi nelle pubbliche piazze delle nostre città molto spesso cariche di problemi economici, culturali e in genere sociali. Il credente, invitato all’impegno per la ricerca del bene comune anziché alla fuga verso il disinteresse o la sterile polemica, con la sua attività a favore degli altri compie un’opera di carità strettamente congiunta alla spiritualità. Per tali motivi, con maggiore decisione e chiarezza rispetto al passato, dobbiamo affermare – come registra la Gaudete et exsultate – che l’impegno in politica, nel mondo del lavoro, del sociale e dell’economia è un mezzo per accogliere e vivere il dono della santità.
A partire dall’insegnamento di Francesco possiamo sottolineare la straordinaria forza del cristianesimo nell’avviare – o nell’influenzare – tutti quei processi sociali destinati alla promozione di una cultura sociale, e di una relativa politica, collegate ai bisogni dell’uomo concreto. Difatti, il Vangelo genera un’opzione non astratta, atemporale né neutra ma incarnata nel tempo e impegnata a cambiare il mondo. Con tale proposta, Bergoglio è uscito dalle secche di un cattolicesimo ormai minoritario, volto solo alla difesa dei cosiddetti “valori non negoziabili”, per invitare l’intera comunità umana, e i cristiani, a fare profezia nella storia attraverso un rinnovamento culturale basato sulla reciprocità, sulla tenerezza e sull’amore. Pertanto, l’opzione credente più che sostenere fughe dai problemi del mondo chiama a vivere la vita nella mischia e nelle difficoltà delle piazze e non dal balcone dell’indifferenza, del pregiudizio, dell’individualismo, dell’isolamento. Quello di Francesco è un vero e proprio approccio integrale teso – più che alla conquista del potere o alla difesa di postazioni di vantaggio nella comunità – alla generazione di processi gravidi di amore civile e politico. Lungi dalla logica della fuga capace di tutelare l’interesse del singolo, o di una parte ristretta di privilegiati, la visione di Bergoglio mira alle future generazioni. Per far ciò abbiamo bisogno gli uni degli altri cioè di un senso di responsabilità verso il presente e il futuro in grado di evitare il degrado morale e di esercitare quelle virtù civiche di cui abbiamo tanto bisogno le quali possono far emergere, nelle odierne democrazie, una parte rilevante del contributo dei cattolici.
[1] H. Laborit, Elogio della fuga, Mondadori, Milano 2015.
[2] A Diogneto, VI, 10.