Il nostro tempo è caratterizzato dalla crescita costante di esperienze sulle differenze culturali, etniche e religiose. Come cittadini, siamo tutti chiamati a scelte che possono coinvolgere una varietà di questioni prima non previste ma che, adesso, bisogna conoscere per poter interagire con la realtà sociale, politica e culturale odierna. Infatti, vivere ci mette continuamente a confronto con l’altro, familiare, amico, sconosciuto, straniero. E in tutti i nostri incontri e in tutte le nostre relazioni abbiamo bisogno di comprendere l’altro e di essere compresi dall’altro. Il fattore della comprensione è determinante all’interno di una proposta educativa poiché comprendere elude il giudizio definitivo, la condanna inflessibile verso sé e gli altri e apre alla possibilità dell’accoglienza, del miglioramento, del riscatto, dell’assenza del pregiudizio.
Così, anche in tempi di pandemia, la pluralità culturale, etnica e religiosa invita gli uomini e le donne del Ventunesimo secolo ad uno sforzo che conduca ad una cittadinanza riflessiva capace di cogliere le positività provenienti dalla diversità sistemica in atto. In primo luogo, tale visione implica un esame critico di se stessi, della propria storia e delle relative appartenenze; poi, invita a considerare il fatto di essere, ancor prima che cittadini di una nazione, abitanti di un mondo complesso; infine, sviluppa nell’uomo l’esercizio dell’immaginazione non distaccandolo dalla realtà ma donando a questa una profondità in grado di generare un’incessante tensione verso il progresso. La formazione alla cittadinanza nel mondo plurale ha bisogno di un’educazione e di un relativo insegnamento che siano democratici nei quali chiunque è invitato a dare un contributo attraverso una metodologia dove non è solo l’adulto, o il maestro, a trasmettere nozioni agli allievi, o ai giovani, ma insieme si esercita una continua tensione critica volta alla ricerca della giustizia nel rispetto dei diversi profili sociali.
Alla luce di questa concezione, educare alla cittadinanza non significa accontentarsi di trasmettere le conoscenze ma mira alla peculiarità fondamentale di ogni insegnamento che è quella di insegnare a vivere. Per attuare un tentativo del genere occorre avviare una riforma del pensiero che da un lato eviti le parcellizzazioni disciplinari, le conoscenze settarie, i percorsi monotematici, le iper-specializzazioni dall’altro promuova la globalizzazione del sapere con una particolare attenzione all’ecologia. Difatti, quest’ultima mobilita un insieme di conoscenze sia antropologiche sia tecnico-scientifiche che permettono di ragionare in termini globali e integranti. Risulta evidente come l’educazione e l’istruzione siano, specialmente ai nostri giorni, degli strumenti indispensabili per la costruzione e per la promozione della democrazia. Il metodo pedagogico per fare questo deve da un lato rifiutare ogni logica di dominazione o di indottrinamento delle nuove generazioni dall’altro promuovere processi di liberazione culturale, umana, sociale poiché l’educazione rappresenta l’attrezzatura per “attraversare il Mar Rosso” e andare verso una democrazia attenta ai bisogni reali dei soggetti, attenta ai fatti, attenta al merito.
Nel dopoguerra italiano, mentre l’intera nazione si metteva in moto per concretizzare il boom economico, nella periferia esistenziale della Toscana, a Barbiana, don Lorenzo Milani sperimenta una proposta educativa rivolta ai figli dei contadini quasi del tutto lontani da ogni logica di progresso tecnologico, sociale, politico e umano. Il priore di Barbiana si muove dalla consapevolezza che la parola non è solo un mezzo di comunicazione, ma è soprattutto la via per divenire sovrani ovvero realmente liberi. Così, l’impegno per l’alfabetizzazione in vista del “possedere la parola” è la più radicale prospettiva per una reale riforma della politica. La lezione di don Milani e dei suoi ragazzi ci dice che le ingiustizie hanno cause sociali, culturali, politiche e ambientali ma che queste possono essere modificate tramite un percorso educativo che miri alla giustizia sociale e alla libertà. Deduciamo così che l’educazione possiede una densità fortemente politica perché tende al superamento di ogni forma di ingiustizia. Dunque, per generare una politica rinnovata occorre rivalutare il contributo fondamentale della formazione delle giovani generazioni.