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La Magistratura ripara ciò che la Pubblica amministrazione guasta

Da gennaio a oggi abbiamo avuto tre importanti sentenze che hanno riguardato gli insegnanti di religione. È curioso osservare che le pronunce provengono da tre diverse magistrature: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il Consiglio di Stato, il Tribunale di Vicenza. Allo stesso modo sono diverse le questioni affrontate: il diritto dei docenti precari al medesimo trattamento dei docenti di ruolo (CGUE), il diritto ad accedere alla formazione professionale alle medesime condizioni (CdS), il diritto a non vedersi decurtata la RPD, retribuzione professionale docenti (Tribunale).

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è la “madre” di tutte le altre in quanto è quella che ha fissato dei principi giuridici e ha indicato la corretta interpretazione da attribuire alle norme da applicare, ma anche le altre sentenze hanno ribaltato le correnti indicazioni normative. La sentenza del Consiglio di Stato infatti, sostenendo il diritto alla formazione per tutti i docenti con le medesime forme e modalità, ha determinato per i ricorrenti la possibilità di accedere al bonus Carta del Docente. Tale possibilità era stata esclusa dalla legge n. 107/2015 (la Buona Scuola). Tra l’altro non è di poco conto osservare che la sentenza del Consiglio di Stato, conseguente a un ricorso promosso dallo Snadir, quindi per i ricorrenti insegnanti di religione, di fatto apre la strada ai ricorsi dei precari di tutte le altre discipline. Non è un caso che ne abbiano fatto tesoro anche le altre sigle sindacali che si sono affrettate a proporre il medesimo ricorso ai propri iscritti precari.

Nella medesima scia dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, si muove anche la recentissima sentenza del Tribunale di Vicenza che ha accolto le motivazioni dei ricorrenti, sostenuti dallo Snadir, e ha affermato che “le mansioni svolte (…) dai docenti titolari di incarichi a breve o brevissimo termine, non appaiono (…) differire da quelle svolte dai docenti a tempo indeterminato o da quelli assunti a tempo determinato con termine fissato al 30 giugno o al 31 agosto”. Non si giustifica quindi una decurtazione della retribuzione sostenuta dalla mancanza di ricostruzione di carriera: le mansioni svolte e il carico orario settimanale sono gli stessi quindi non è giustificabile un diverso e penalizzante trattamento economico che priva il lavoratore della retribuzione professionale docenti, che è una delle voci retributive contrattualmente fissate.

La Magistratura ripara ciò che la Pubblica amministrazione guasta, per fortuna, e per questo invitiamo ancora una volta tutti i colleghi interessati a compilare i “form” presenti sul sito internet dello Snadir (www.snadir.it) in corrispondenza delle diverse notizie riportate.

La tutela dei diritti degli insegnanti è il nostro obiettivo, continuiamo con ogni risorsa e con grande impegno a perseguirlo grazie soprattutto al sostegno di voi tutti.

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