A tempo di Covid, tra DPCM ed Ordinanze regionali, la scuola è stata oggetto di chiusure. Quelle dell’Istruzione di primo grado sono state chiuse solo in alcune regioni, mentre per quelle di secondo grado la chiusura ha interessato tutto il territorio nazionale. L’Infanzia e l’Istruzione primaria sono invece aperte quasi tutte, tranne casi sporadici, a motivo di momentanee quarantene. Ovviamente, in questo contesto di pandemia la fanno da padrone la Didattica A Distanza (DAD) e la Didattica Digitale Integrata (DDI).
Per DAD s’intende quella tipologia di didattica che, a motivo del primo lockdown 2020, ha permesso alle scuole di chiudere l’anno scolastico, proseguendo l’attività didattica educativa da casa, attraverso l’uso degli strumenti informatici e svolgendo le lezioni in due modalità. La più utilizzata è quella sincrona, in quanto le lezioni si sono svolte in una piattaforma informatica scelta dalla scuola e con la presenza online in contemporanea del docente e degli studenti. In questo tipo di didattica, l’insegnante e i suoi alunni, si trovano nello stesso momento in un unico ambiente che viene definito classe virtuale. Durante l’attività sincrona vi è una diretta interazione simultanea tra docente e alunni e l’apprendimento avviene in tempo reale, generando quella che è identificata come classe virtuale. L’altra modalità, meno utilizzata, è quella asincrona, che non prevede la presenza in contemporanea di docente e studente all’interno della classe virtuale, infatti l’insegnante non è presente online, ma segue il processo di apprendimento degli studenti al di fuori dei vincoli di tempo e di luogo. La lezione asincrona può svolgersi, ad esempio, attraverso la fruizione di una videolezione preregistrata dall’insegnante che viene vista dallo studente senza vincoli di orario, piuttosto che con l’utilizzo di filmati didattici forniti agli studenti.
Con l’avvio del nuovo anno scolastico 2020-2020, il MIUR, attraverso il DM 39 del 26/06/2020, ha adottato un nuovo Piano Scuola, con il quale ha inteso pianificare le attività scolastiche, educative e formative delle Istituzioni del Sistema Nazionale di Istruzione. Facendo riferimento al Regolamento sull’Autonomia (DPR 8 marzo 1999, n. 275), il documento traccia alcune ipotesi per la definizione e costruzione di nuovi percorsi formativi che siano adeguati, in questo nuovo contesto di emergenza epidemiologica da Covid-19, al normale proseguimento del processo educativo di insegnamento/apprendimento degli studenti, attraverso la definizione di precisi ambiti di intervento organizzativo. Tra questi è previsto, “per le scuole secondarie di II grado, una fruizione per gli studenti, opportunamente pianificata, di attività didattica in presenza e, in via complementare, Didattica Digitale Integrata (DDI), ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano”.
La DDI è una metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento complementare a quella tradizionale della scuola in presenza, che potrebbe sostituire, solo in questo periodo di pandemia, la DAD, infatti il Piano Scuola già prevedeva, la sua utilizzazione, solo se si fosse reso “necessario sospendere nuovamente le attività didattiche in presenza a causa delle condizioni epidemiologiche contingenti”. Questo particolare tipo di didattica è attivata principalmente nelle scuole secondarie di secondo grado e, soltanto in caso di nuovo lockdown, potrebbe essere applicata anche in tutti gli altri ordini scolastici (infanzia, primaria, scuola secondaria di primo grado).
Quanto sopra descritto mostra strumenti alternativi alla didattica in presenza, che possano permettere, in tempi circoscritti all’emergenza, la prosecuzione dell’anno scolastico. Ma bisogna precisare un dato fondamentale, infatti, senza voler mettere in discussione il preoccupante procedere del SARS-CoV-2 (il Betacoronavirus che causa la patologia COVID-19), tali modalità di didattica, se non vi fossero motivi fondati scientificamente sulla pericolosità della scuola come bacino di contagio, possono essere problematiche per il processo di crescita degli alunni. Ciò è affermato, tra gli altri, anche da un componente del Comitato Tecnico-scientifico del Governo nazionale, il Prof. Alberto Villani, pediatra del Bambino Gesù di Roma, che in una intervista rilasciata a fine ottobre di questo anno, ha dichiarato che “la scuola non è fonte di casi positivi e focolai. I contagi non si sono sviluppati in classe ma nell’ambiente esterno”. Ma ancora, a conferma di ciò, il coordinatore dello stesso Comitato, Agostino Miozzo, in un forum all’ANSA, ripreso da Orizzontescuola.it, ha dichiarato che “Da settimane abbiamo dato indicazioni che allo stato attuale la scuola non è un pericolo – sottolinea – Le condizioni sono mutate, ci sono delle regole, i ragazzi vanno con la mascherina, devono stare distanziati e ci sono stati investimenti importantissimi”. Ecco perché “l’ambiente scuola è un ambiente relativamente sicuro, fermo restando che il rischio zero in questa pandemia non c’è”. Dunque i ragazzi vanno “riportati in aula prima possibile”.
Per questo sono “incomprensibili e imbarazzanti”certe scelte “estemporanee”di governatori e sindaci in contrasto con i provvedimenti governativi”(Orizzontescuola.it, Cronaca 25 nov. 2020 – 19:46). Tra l’altro, in molti dei Paesi del Vecchio Continente hanno scelto di non chiudere le aule delle scuole, anche se sono dovuti ricorrere negli ultimi giorni a maggiori restrizioni che hanno cambiato la vita degli alunni.
Lo stesso Primo Ministro britannico Boris Johnson, che, all’inizio di questa pandemia ha tenuto un atteggiamento negazionista e superficiale, ha escluso le scuole dal nuovo lockdown nazionale, che è entrato in vigore il 5 novembre, fino a martedì 2 dicembre. Si perché le scuole devono essere le ultime, eventualmente, a chiudere e solo in un lockdown totale.
Da insegnante ritengo che la scuola non debba essere chiusa, tranne che in comprovati casi di necessità, per un semplice motivo, perché la “classe”, luogo non solo fisico per la formazione e la crescita dei giovani, con tutto ciò che questo concetto racchiude in sè, non può mai essere sostituita da una DAD. Infatti la Didattica a Distanza, così come è già stata utilizzata, non può e non deve essere considerata la didattica del futuro, ma semplicemente una didattica dell’emergenza, temporanea e isolata solo ed esclusivamente a momenti di altissima gravità. Infatti, la didattica (quella che da qualche mese definiamo in presenza) ha suoi metodi e suoi strumenti, che hanno valore e rilevanza solo all’interno di una dialettica e di una relazione fatta di corporeità, di gesti, di scambi visivi e sonori, di sguardi, oltre che di contenuti e saperi da trasmettere, e ciò si costruisce dentro quel contesto che è la classe, da intendere non solo nel senso topico, cioè del locale in cui si svolge la lezione, ma nel senso dinamico, fatto di relazione ed interrelazione corporea, emozionale e disciplinare, tra docente e discenti. Anche gli oggetti della classe, il proprio banco, la lavagna, la relazione fisica con i compagni e quella speciale con i docenti, sono parte integrante della didattica e dell’insegnamento scolastico, che la propria casa, o la propria stanzetta, non possono sostituire. Insegnare vuol dire lasciare il proprio segno e ciò può avvenire solo nella presenza di persone che insieme interagiscono ed insieme, guidate, crescono. Il virtuale non è scuola e per la didattica non deve essere considerato il futuro, altrimenti ciò che viene definito processo di scolarizzazione, si snatura, divenendo altro. Deve comunque essere chiaro, al di là di tutto, che per tornare a scuola e ristabilire il contatto con la classe, luogo principe dell’educazione-apprendimento, bisogna mettere la scuola nelle condizioni di essere in sicurezza, e consentire a tutti i docenti e, in particolare, agli insegnanti di scuola dell’infanzia di avere tutti i presidi indispensabili per lavorare in modo sereno e sicuro.
Quindi scuola in presenza si, ma solo a certe condizioni.