Una buona autostima sembra il segreto di ogni cosa, la risoluzione di ogni problema. In tanti sono disposti a fare corsi o percorsi di psicoterapia pur di aumentarla, ma siamo sicuri di sapere bene cosa s’intende con il concetto di autostima?
Prima di vedere la sua definizione, proverei ad attraversare insieme una serie di riflessioni e falsificazioni per capire cosa innanzitutto l’autostima non sia e come essa non possa mai separarsi dal concetto di autodefinizione. Per prima cosa va specificato che l’autostima si differenzia dal concetto di Sé con il quale s’intende una costellazione di elementi a cui una persona fa riferimento per descrivere sé stessa.
Questa costellazione di elementi del Sé possiamo definirla Sé Percepito, ossia una visione oggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti o assenti nella nostra persona aiutandoci a costruire il proprio Sé Reale.
Purtroppo, molte persone non mirano a consolidare questo Sé reale, ritenendo più auspicabile il perseguimento del Sé Ideale, ossia l’immagine della persona che vorremmo essere. È proprio quest’ultimo che tendiamo a mostrare e “vendere” nei social network e nella vita di tutti i giorni, preoccupandoci e occupandoci affinché non fuoriesca quello reale. Tale preoccupazione nasce dal fatto che per molte persone l’autostima dovrebbe coincidere con la stima altrui, tenendoci impegnati, a volte in modo ossessivo, a far risaltare la versione migliore di sé stessi per poter percepirsi fieri, capaci, potenti.
Descrivendo questo non voglio togliere importanza agli ideali personali, quali coraggio, audacia, bellezza, determinazione o qualsiasi altro. Gli ideali esistono da sempre nella mente dell’uomo e non necessariamente sono da evitare, essi ci permettono di costruire i desideri o gli obiettivi a cui vogliamo arrivare. Il fatto di perseguire alcuni ideali è un aspetto naturale in quanto tutti gli esseri umani costruiscono un’immagine di sé positiva basata sulla sensazione di apprezzamento da parte dell’Altro, l’esterno, ma la cosa inizia a non essere sana quando l’idea di apparire giusti e validi condiziona, consapevolmente o meno, il nostro agire e sentire. Il tempo dell’adolescenza è particolarmente caratterizzato dal voler raggiungere i propri ideali, alcuni trasmessi dalla società in generale, alcuni dai genitori, alcuni proprio da noi stessi nella volontà di superare e fare meglio di ciò che sentiamo appartenga alla famiglia e non al proprio Sé.
In adolescenza contemporaneamente ci si scontra con la realtà ossia, il non percepire più il mondo e sé stessi come luoghi ideali, avviene la rottura della perfezione e quindi del sopracitato Sé ideale, prendendo contatto con una serie di limiti e difetti dei quali ci accorgiamo quasi all’improvviso.
L’adolescenza è sempre ritratta come un’età magica dove tutto è fatto di bello e scoperta, ma nel reale, questa fase è un complicato passaggio che Victor Hugo definì “la più difficile delle transizioni”. Solo negli ultimi decenni è stata riconosciuta una dignità e attenzione a questa difficile transizione, prima il passaggio prevedeva semplicemente l’infanzia e l’età adulta. È proprio questo l’obiettivo dell’adolescenza: il passaggio dal mondo incantato del bambino, al mondo reale dell’adulto, per riuscire a costituire la propria identità personale. Tornando al concetto di autostima e considerando questa transizione, osserviamo come, attendendo l’età adulta, la nostra autostima viene completamente ribaltata se non addirittura distrutta.
In adolescenza si scoprono tutta quella serie di limiti che comportando la famosissima “crisi adolescenziale” e una continua insoddisfazione verso sé stessi.
A nessuno piace sentirsi così, l’adolescenza porta malessere ai giovani e a chi li circonda, in quanto genitori e adulti di riferimento si sentono impotenti davanti a questo passaggio così importante.
Come poter aiutare un adolescente a strutturare positivamente un’immagine di Sé?
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L’adolescenza è ritratta come un’età magica dove tutto è fatto di bello e scoperta. Ma nel reale, questa fase è un complicato passaggio che Victor Hugo definì “la più difficile delle transizioni”. E aveva ragione…
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