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Immagine del redattoreNuccio Randone

Democrazia apocalittica


Una “teologia politica della democrazia” legge la stessa alla luce della storia dell’affrancamento di Israele dalla schiavitù in Egitto ovvero l’Esodo. Michael Walzer, nel suo saggio Esodo e rivoluzione, mette in evidenza la differenza tra il “messianismo politico” che cerca «di “anticipare la fine” per portare il genere umano improvvisamente e violentemente nell’era messianica, nella nuova Gerusalemme, nel Paradiso» e la “politica dell’Esodo” che «con la sua concezione storica e secolare della “redenzione”… non richiede la trasformazione miracolosa del mondo materiale ma … assicura al popolo di Israele in marcia per il mondo un luogo migliore dove vivere».


Come sottolinea il teologo Giuseppe Ruggieri nel suo saggio, Prima lezione di teologia, «per un verso Gesù aspetta come imminente una venuta futura del regno di Dio,…per altro verso, e sta qui il paradosso, Gesù ha predicato anche la presenza di questo regno nella sua attività di taumaturgo». Gesù, narratore apocalittico, attende ancora l’evento finale che comporterà la distruzione di questo mondo, ma questa attesa non è fuga, bensì fede operante, liberazione dei sofferenti della storia nella condivisione della sofferenza stessa.


Anche la comunità cristiana del primo secolo ha assimilato tale mentalità, chiamata apocalittica: il NT continua a proporre la ‘rivelazione’ del già e non ancora: in 2 Pt 3, 8-10 si dice che il Signore non ritarda a venire ma “sente in grande” (makrotumei), usa misericordia, pazienza giacché non vuole che alcuno perisca ma che tutti arrivino a conversione.


In questa attesa operante della fine del mondo, secondo quando si dice in 2 Ts 2, 6-7, il katechon, qualcuno o qualcosa (la Chiesa?) trattiene l’assalto dell’anticristo per permettere agli uomini di “allenarsi” nel giustapporsi al male col bene attraverso l’esserci-per-gli altri in modo che, quando il katechon sarà tolto di mezzo e si svelerà l’iniquo nella parusia, gli uomini sapranno “combattere la buona battaglia” non cadendo negli inganni dell’anticristo che sarà distrutto dal Signore Gesù col soffio della sua bocca: nell’attesa della fine del mondo il discepolo, come Gesù, deve operare la liberazione nella partecipazione alle sofferenze dei minimi della storia.


La democrazia, in una prospettiva teologico-politica è dunque una terra promessa, ovvero non una società perfetta ma un posto reso migliore dall’attesa operante della fine del mondo.

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