Lo scorso 25 novembre è stata celebrata la giornata internazionale contro la violenza di genere. Una data simbolica istituita dalle Nazioni Unite per porre l’attenzione al dramma della violenza sulle donne e sul femminicidio. Sono numerose le donne violentate e uccise in questo 2020: circa il 40,6%. La maggior parte dei femminicidi si è consumata dentro le pareti domestiche. Un principio quello del rispetto verso la donna che deve nascere e crescere unitamente all’essere umano. Ma in molti casi, dati alla mano, questo non avviene. Allora qual è il ruolo della scuola dopo la famiglia? Ne abbiamo parlato in questa intervista con il sociologo Marino D’Amore, docente dell’Università “Niccolò Cusano”.
La scuola, dopo la famiglia, è il luogo in cui i ragazzi si formano. In che modo bisognerebbe educare i giovani affinché principi fondamentali come il ripudio della violenza di genere possano accompagnarli nel loro percorso di crescita?
La scuola e la famiglia, purtroppo, sono agenzie di socializzazione che ormai accusano dei forti ritardi in un mondo che va sempre più veloce ed è soggetto a un continuo cambiamento. Le giovani generazioni si formano molto sul web, un luogo digitale a cui sono abituati e che pensano di dominare, ma, come sappiamo, molte volte purtroppo non è così. Queste ultime sono in possesso della competenza tecnica ma non di quella sociale e possono essere influenzate dai contenuti o messaggi violenti che nel web proliferano e possono essere reiterati secondo la logica del branco e l’illusione dell’anonimato. In questo senso sarebbe opportuno permettere un incontro tra generazioni proprio in questi scenari digitali, formandole e attivando un dialogo che permetta di monitorare e ricollocare scuola e famiglia nel processo di costruzione della personalità del bambino e dell’adolescente.
Fuori dai banchi di scuola, nelle attività ricreative, anche se adesso ridotte a causa della pandemia, esistono modalità educative in questa direzione?
Per esempio gli sport di squadra: una proiezione ludica delle relazioni che hanno luogo in società e dei comportamenti dei singoli individui. In quei momenti si concretizza la condivisione, la sinergia e la collaborazione per il raggiungimento di un obiettivo comune, incentivando la solidarietà, il reciproco sostegno e quindi l’empatia.
Che tipo di consiglio si sente di dare agli adulti che hanno la responsabilità di educare i giovani?
Mi sento di consigliare un incontro continuo tra generazioni, anche se non invasivo o limitante per esempio rispetto all’inclinazione dei giovani, un dialogo che si instauri, soprattutto nelle dinamiche del web, ma che a queste ultime non deleghi la formazione dei ragazzi e troppo tempo libero, un ascolto quotidiano e soprattutto una presenza autorevole ma mai autoritaria che venga realmente percepita e costituisca un costante punto di riferimento in un momento così delicato come quello della costruzione dell’identità personale.