Credo che a tutti nel corso della vita sia capitato di dire o di sentir affermare: «Non è giusto!». Quante cose possono apparire ingiuste, limitanti, lontane da ciò che vorremmo o riteniamo necessario. Nei bambini e nei ragazzi il confine tra ciò che giusto o ingiusto assume spesso contorni sfumati anche perché tende a prevale la lettura individuale ed egocentrica della realtà piuttosto che un approccio sociale volto a una prospettiva collettiva. Il punto di partenza, infatti, sta nel concetto stesso di giustizia. Questa meravigliosa parola deriva dal termine latino iustitia, da iustus, «giusto». Il significato corrente è: «Virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge». (https://www.treccani.it/vocabolario/giustizia/) La giustizia appare dunque come una virtù che trova come guide la ragione e la legge. La lettura individuale della realtà viene superata dall’applicazione di norme e leggi pensate per difendere i diritti di tutti. Uno dei principi che la sostengono è quello dell’equilibrio così ben raffigurato, nelle allegorie dei pittori, dalla bilancia tenuta tra le mani di una donna che sostiene, però, anche una spada simbolo di forza. La storia che stiamo scrivendo, purtroppo, ci pone sempre più spesso di fronte a discussioni che vertono sui concetti di giustizia e di ingiustizia. Sono riflessioni importanti da portare nelle nostre classi non tanto perché si inseriscono nel percorso di educazione civica, ma soprattutto perché è necessario farlo per promuovere la crescita personale dei giovani e il loro pensiero critico. Riflettere con loro sul senso di giustizia offre molte occasioni per interpretare il presente. Basti pensare alle guerre che insanguinano terre vicine e lontane, alla tragica condizione in cui versano le donne afgane private di tutti i loro diritti, alle sofferenze di popoli che vivono in condizioni di povertà assoluta… Nel mese di maggio, inoltre, si celebra il trentennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, in cui vennero uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Antonio Montinaro, Vito Schifani, e Claudio Traina. Ancora una volta il concetto di giustizia può diventare protagonista di un percorso educativo. Cosa significa lottare per la giustizia? Quali ideali hanno guidato uomini e donne che hanno sacrificato la propria vita per combattere la criminalità organizzata? Nessuno di loro aveva super poteri. Erano esseri umani motivati profondamente da quel senso di equità, moralità e onestà che va seminato e coltivato nelle giovani generazioni affinché vi sia la consapevolezza che proteggere la giustizia significa difendere la libertà di tutti. Andare oltre il proprio egocentrismo, superare la logica imperante dell’indifferenza, generare indignazione verso tutte le forme di prepotenza e di annullamento dei diritti fondamentali sono gli obiettivi educativi che la scuola, la famiglia e la società stessa dovrebbero perseguire con costanza e determinazione. I nostri ragazzi e le nostre ragazze devono essere sostenuti nella necessità di coltivare il senso di giustizia. Hanno bisogno di dare peso e valore a quel «non è giusto» che sentono accendersi dentro di loro. «La giustizia è come una rosa bellissima, regina del giardino ed emblema di uno straordinario equilibrio. Per difenderla, la natura l’ha dotata di spine che la proteggono. Nessuno scrive poesie e sonetti per quelle spine, eppure esse esistono e sacrificano sé stesse perché la rosa continui a manifestarsi in tutta la sua nobiltà». (da “La rosa della giustizia”, ed. Piemme) Ciascuno di noi può e deve diventare una di quelle spine che proteggono la rosa della giustizia. Basta solo volerlo.
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