Intervista a Stella Casola. Lei è dottoressa di ricerca in Filosofia politica all’Università di Milano. Una lucida disamina tra religioni e modello di democrazia e la compatibilità fra queste due ‘espressioni’.
“La laicità non deve escludere le religioni e la democrazia deve poter dialogare con esse, se non vogliamo che la società si trasformi in una accozzaglia di individui isolati incapaci di trasformare la percezione di sé in senso di appartenenza”. Lo ha detto Stella Casola, dottoressa di Ricerca in Filosofia politica all’Università di Milano, chiamata da FBK di Trento a dialogare, lo scorso 9 maggio, con il filosofo Paolo Costa sul tema: ‘La memoria culturale come rito’.
Nella sua tesi di dottorato esplora la compatibilità tra religione e modello democratico, un tema di grande attualità, specie in una società post-secolare come la nostra. Come ritiene si possa conciliare la sfera del sacro con i principi democratici, spesso visti come intrinsecamente laici.
“La riflessione che propongo parte da due elementi della nostra società: la persistenza delle tradizioni religiose all’interno di sistemi politici secolari e laici, ed è ciò che permette di avanzare la definizione di post-secolare, e la compresenza di una pluralità di sistemi valoriali, tradizioni culturali e identitarie. Due dati di fatto strettamente connessi che pongono, prima ancora del problema della conciliazione della sfera secolare con quella religiosa, quello della loro coesistenza. Perché essa non degeneri in scontro, è importante che le due dimensioni restino distinte ma, allo stesso tempo, dialoghino tra loro riconoscendosi come partner legittime nel dibattito democratico. Ciascuna dimensione dovrebbe essere aperta alla possibilità dell’incontro e della collaborazione, per il benessere dell’intera società. Il punto diventa dunque trovare una base comune per fondare questa cooperazione”.
Quale ruolo ricoprono i riti nella società odierna e come possono contribuire a preservare la memoria collettiva?
“Il rito è qualcosa di più di una sequenza di azioni e parole: è una strategia culturale che permette di dare corpo a ricordi e valori condivisi e, allo stesso tempo, inserisce chi vi partecipa all’interno di una catena di senso ampia. La questione del senso è centrale –l’homo sapiens è un animale in cerca di significato, ci ricordava il filosofo e rabbino Jonathan Sacks– e strettamente collegata al tema dell’identità. Nella messa in scena della memoria sotto forma di rito, ne va dell’identità di chi ricorda. E questa funzione identitaria è presente in ambito sia religioso sia secolare: pensiamo, ad esempio, a tutta la ritualità del 25 aprile o del 2 giugno e alla loro centralità nell’identità e nella memoria dell’Italia democratica”.
In un’epoca segnata da conflitti e tensioni interreligiose, come possiamo incoraggiare il dialogo interreligioso e la comprensione reciproca?
“Le nostre democrazie liberali sono certamente il luogo più adatto ad ospitare, finanche a favorire, questo tipo di incontro. Dalla parabola dei tre anelli dell’illuminista Lessing, passando per la religione dell’umanità di Mendelssohn e lo spirito universale di Gandhi e giungendo alle riflessioni sulla traducibilità interreligiosa di Jonathan Sacks e agli studi sulla Religio duplex di Jan Assmann, la possibilità dell’incontro tra religioni si trova nelle religioni stesse. L’idea di una religiosità tollerante e universale è un filo rosso che percorre millenni di storia culturale e religiosa e che oggi può realizzarsi solo in contesto dove c’è tolleranza e quindi democrazia. Ma il primo passo deve essere compiuto dalle istituzioni religiose, guidate da leader spirituali in grado di tenere a debita distanza chi della religione si vuole servire per raggiungere obiettivi di potere politico”.
Il rito è più di una sequenza di azioni e parole: è strategia culturale che permette di dare corpo a ricordi e valori condivisi e inserisce chi vi partecipa all’interno di una catena di senso. L’homo sapiens è un animale in cerca di significato come ricorda il filosofo e rabbino Jonathan Sacks”.