Sta facendo discutere la proposta della ministra Azzolina di rinviare la fine dell’anno scolastico al 30 giugno con l’intento di permettere agli studenti che hanno svolto la didattica a distanza di recuperare la propria formazione con le attività in presenza. Ad oggi il calendario scolastico 2020/21 compilato dalle Regioni prevede il termine di fine giugno soltanto per le scuole d’infanzia, eccetto la Provincia autonoma di Bolzano, mentre gli istituti di altro grado chiuderanno come sempre entro la prima decade di giugno. Un’ipotesi, quella della ministra, che si somma alle altre incongruenze che il governo continua a presentare per tappare i buchi delle operazioni politiche inadeguate che hanno messo in atto dall’inizio della pandemia.
Dire che gli studenti devono recuperare le attività in presenza equivale a dire che la didattica a distanza sia uno spreco di tempo e di forze. E soprattutto che sia stata, fino ad oggi, inefficace. I nostri insegnanti si stanno spendendo al meglio tra mille difficoltà per attuare un servizio scolastico di qualità, garantendo l’istruzione dei nostri ragazzi anche durante un’emergenza sanitaria e con il solo obiettivo di far valere il sacrosanto diritto allo studio dei nostri studenti. Per essere chiari: la proposta di allungare oltre il 10 giugno le attività didattiche è irricevibile perché parte dal presupposto che i docenti e gli studenti non stiano facendo nulla. Invece i docenti stanno lavorando oltre il tempo dovuto da contratto per assicurare ai nostri studenti il loro diritto all’apprendimento. Tutte le questioni emerse in questo periodo di pandemia andrebbero organicamente inserite in un nuovo contratto. Solo così, a seguito di una riflessione comune e di un confronto con i rappresentanti dei lavoratori, si potrebbe dare una risposta alle problematiche della didattica digitale integrata, alle incertezze circa la gestione dei lavoratori “fragili”, alle modalità di chiamata e di impiego dei “supplenti covid”, alla tutela degli alunni e del personale scolastico quando si manifesta un contagio nelle aule delle nostre scuole.
Continuando a parlare di docenti, il 7 dicembre sono scaduti i termini per la presentazione delle domande di pensioni e secondo i dati trasmessi dal Ministero dell’istruzione – tramite il sistema di Istanze On Line – sono 27.592 i docenti che hanno presentato domanda per il pensionamento da settembre 2021, di cui 15.979 sono con l’anticipo Quota 100. Le domande dei docenti di religione di ruolo sono 504, di cui 276 sono con la quota 100; il 4% dei docenti di religione di ruolo. Le istanze, naturalmente, dovranno essere accolte e quindi prossimamente si avrà un quadro più completo dei dati.
Per quanto riguarda, invece, il personale Ata e quello educativo, le domande sono oltre 6.887: il totale, dunque, è di circa 35.068 unità che andranno in pensione nel 2021. A questo dato bisognerà aggiungere quello dei dirigenti scolastici (il termine per la presentazione delle istanze scade il 28 febbraio). La situazione è critica: i concorsi sono bloccati a causa del Covid e delle 78mila assunzioni annunciate ad agosto in diretta tv dalla ministra se ne completeranno, forse, circa 30mila.
Già quest’anno su circa 85mila autorizzazioni ad assumere docenti, sono rimaste vuote ben 66.654 cattedre (quasi tutte al Nord). In Lombardia sono state fatte soltanto il 20% delle assunzioni a tempo indeterminato previste, cioè solo 4.000 assunzioni. Sempre in Lombardia sui 6.143 posti di sostegno da coprire a tempo indeterminato, sono stati assunti 43 docenti. Fra pochi giorni inizieranno le vacanze di Natale ma ancora molte scuole non hanno tutti gli insegnanti al proprio posto: sono migliaia le cattedre scoperte a causa di ritardi nelle nomine dei supplenti. Non si tratta certo del primo anno scolastico con precari ancora da collocare nelle scuole nonostante la prossimità del Natale. Ma è innegabile che in questo anno particolare ci sono nuove problematiche da tenere in considerazione.
Certamente l’emergenza sanitaria avrà limitato fortemente il grande flusso di supplenti di ogni anno che va da Sud verso Nord, dove le cattedre sono tradizionalmente scoperte. E poi va considerata la preparazione al concorso straordinario che ha impegnato i docenti negli scorsi mesi: concorso che ancora non si è concluso a causa della pandemia e che vedrà la fine entro il 2021. Il resto è probabilmente imputabile al meccanismo delle Gps: se da un lato avrebbe snellito le procedure per il conferimento delle supplenze, dall’altro lato ci sono stati tanti problemi e ritardi che hanno condizionato pesantemente alcuni territori in special modo. Si tratta d’altronde di una modalità informatica mai sperimentata prima, e alla quale è stato dato davvero poco tempo per la redazione e per la validazione. Anche tutti gli intoppi legati agli errori delle graduatorie provinciali per le supplenze di posto comune hanno contribuito ad una situazione di cattedre vuote a fine anno.
Un’ultima riflessione necessaria riguarda lo stato di avanzamento della procedura di indizione del bando di concorso per l’insegnamento della religione cattolica di cui all’art.1bis commi 1 e 2 della legge 159/2019. Tra i nodi irrisolti: se non si interviene immediatamente con un dispositivo di legge che specifichi in maniera chiara che il concorso di cui all’art.1bis della legge 159/2019 deve essere “straordinario”, difficilmente il successivo bando potrà recepire una modalità diversa dal concorso ordinario. Il recente dpcm del 3 dicembre 2020 specifica che è sospeso lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche, a esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica. Si potrebbero ritenere, quindi, in questo momento, consentiti i concorsi per soli titoli, trattandosi di una procedura da svolgersi in modalità esclusivamente telematica. Ciò potrebbe rappresentare un valido canale di immissione in ruolo dei docenti di religione, considerato che essi hanno un rilevante numero di anni già prestati in condizione di precariato. Dunque ben venga la posizione espressa dai Direttori diocesani, settore scuola, della Lombardia che – considerate alcune richieste dello Snadir già rese note – chiedono una procedura straordinaria uguale a quella attuata per i docenti di altre discipline, che salvaguardi e valorizzi il servizio di coloro che hanno svolto almeno 36 mesi di insegnamento della religione cattolica. Ma occorre chiaramente andare oltre le dichiarazioni e sostenere con forza quanto lo Snadir ha chiesto nel corso di incontri con numerosi parlamentari.
L’incarico di insegnante di religione cattolica nelle scuole pubbliche non è un «officium ecclesiasticum», come potrebbe una ragazza o un ragazzo intraprendere lo studio robusto di teologia (titoli universitari: Laurea Magistrale, Baccalaureato, Licenza e titoli accademici post lauream: Master, Dottorato) con la prospettiva che solo una parte dei posti saranno a tempo indeterminato e l’altra parte a tempo determinato? E inoltre, sapendo che il ritardo cronico dell’indizione dei concorsi (come è avvenuto fino ad oggi) porta ad una disponibilità di posti solo a tempo determinato, costringendoli così a una condizione di precarietà, che Papa Francesco per primo definisce “immorale”, potrebbero desistere dall’intraprendere una professione a tal punto incerta.
È tempo quindi di superare limiti vecchi e inadeguati e lavorare intensamente per collocare con forza i docenti di religione cattolica dentro una condizione lavorativa stabile, capace di assicurare a se stessi e alla propria famiglia una retribuzione adeguata e un futuro lavorativo certo.
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