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L’importanza del linguaggio religioso nell’attività didattica dell’IRC

Immagine del redattore: Domenico PisanaDomenico Pisana

RUBRICA Riflessioni oltre la soglia


linguaggio religioso

Esiste oggi una forte ambiguità del linguaggio religioso. E’ certo che la parola Dio e tutto il linguaggio religioso che vi fa riferimento, è divenuta quanto mai ambigua e quindi da trattare con somma cura, attenzione e discrezione. Fino a preferire talora il silenzio ove l’ambiguità desse adito a sicuri fraintendimenti. Quando nell’insegnamento della Religione cattolica si dice la parola “Dio” stiamo parlando di qualcosa che trascende tutte le capacità di comprensione umana, tutto il mondo oggettivabile e manipolabile con la scienza e la tecnica. Come ben sappiamo, l’IRC si svolge in uno spazio pubblico laico ove avviene un libero dibattito e confronto delle idee, a cui tutti possono partecipare con uguale dignità. In esso il docente di religione fa emergere domande religiose, pensieri, linguaggi, giudizi di valore, che rendono la lezione un luogo di confronto formativo. 


In questo spazio pubblico è essenziale, infatti, far maturare negli studenti lo spirito critico e lo stile del linguaggio religioso del docente di religione deve farsi in esso presente con intenti educativi efficaci. Occorre il linguaggio di una verità che non s’impone ma si offre come oggetto di indagine, che non si prova o constata oggettivamente solo con procedimenti di carattere scientifico o storico-critico. Nell’attività didattica, il linguaggio religioso deve essere un linguaggio maieutico; si deve connotare come il linguaggio dell’analogia che indirizza in una certa direzione con la coscienza della propria inadeguatezza; il linguaggio del simbolo che dischiude orizzonti oltre il dato empirico; il linguaggio del racconto che testimonia un’esperienza di vita e rappresenta in modo vivo delle concrete possibilità di esistenza; il linguaggio allusivo tipico della poesia, del canto e della musica, che sa suscitare consonanze interiori libere e profonde. 


In ciò è di grande aiuto la Bibbia, ove si trovano i molteplici linguaggi dei vari generi letterari in essa presenti: racconti, preghiere, inni, detti sapienziali, testi legislativi, utopie profetiche e ogni cosa protesa a parlare in vari modi di Dio, ad indirizzare lo sguardo dell’uomo verso di Lui. Insomma, nell’insegnamento della Religione cattolica, il linguaggio religioso deve essere il linguaggio di “una verità che promuove l’umano e in nessun modo gli è estranea o lo mortifica”. In sintonia con la famosa ‘svolta antropologica’ della teologia teorizzata da Karl Rahner e fatta propria da Giovanni Paolo II a partire dalla sua prima enciclica Redemptor hominis del 1979, oggi il linguaggio religioso non dovrebbe mai parlare di Dio o delle verità religiose cristiane come di una “cosa in sé” indifferente alla vita concreta ma dovrebbe sempre curare di mettere in luce i risvolti esistenziali di promozione dell’umano che ad esse sono indissolubilmente connessi, pena il loro fraintendimento. Queste indicazioni possano essere utili per quanto riguarda più specificamente lo stile del linguaggio religioso in contesto pubblico come quello scolastico.


"Dopo la svolta antropologica della teologia teorizzata da Karl Rahner e fatta propria da Giovanni Paolo dalla sua prima enciclica del 1979 oggi il linguaggio religioso non dovrebbe mai parlare di Dio come di una indifferente alla vita concreta ma dovrebbe curare e mettere in luce i risvolti esistenziali di promozione dell’umano indissolubilmente connessi.”

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