
Cosa vuol dire comunicare nella Chiesa, nella famiglia, nella scuola, nella politica, nella società, nel mondo del lavoro, nell’ambito culturale? Voglio articolare la risposta puntando l’attenzione su alcuni aspetti che ritengo, almeno da un punto di vista etico, non tanto psicologico o sociologico, di fondamentale importanza. La comunicazione è anzitutto ‘la forma dell’educare’ in quanto la persona riceve dei messaggi con i quali impara a vivere, a capire se stesso, la propria storia, le proprie radici, la propria cultura; se manca una comunicazione educativa, si corre il rischio di trovarsi in un mondo senza conoscerne le caratteristiche e gli elementari metodi di sopravvivenza: la persona rimane sola, come un essere sperduto in mezzo al mare, senza le stelle e la bussola. Se la comunicazione è la forma dell’educare, è anche vero che esistono nella nostra società modi di comunicare e educare che difficilmente aiutano le persone a crescere. Mi riferisco alla comunicazione-plagio, ideologizzata tipica del mondo della cultura politica, spesso falsata della realtà mass-mediale e altro. La comunicazione è una necessità ed un bene perché non è soltanto incontro ma anche un confronto fra diversi. Comunicare contenuti significa mettere l’altro nelle condizioni di apprezzare e decidere su che diciamo. Diventa insomma un “entrare in gioco” da parte di chi comunica ma è anche “chiamare in gioco chi ascolta”. La costruzione della società è questo scambio comunicativo in cui ciascuno porta all’altro la propria visione del vivere insieme, il proprio sentimento, la propria proposta.
La comunicazione diventa poi un bene se, però, in essa sono presenti almeno alcuni elementi essenziali: Il richiamo dell’attenzione: qui si decide il contatto con l’altro, la possibilità stessa che il messaggio comunicativo passi. Un modo per richiamare l’attenzione è la passione verso il messaggio stesso: un comunicatore senza passione difficilmente avrà l’attenzione dell’ascoltatore. La validità del contenuto: occorre che il contenuto sia interessante, non banale, capace in se stesso di risvegliare l’interesse di chi ascolta; chi ha una parola vera o comunque importante da dire, sa che essa si affermerà per sé e non per i metodi che vengono usati nel convincere. L’atteggiamento con il quale si comunica: l’atteggiamento sereno e l’impegno fattivo a realizzare ciò che si comunica valgono più di qualunque parola.
Diceva San Francesco: “Un uomo è tanto sapiente quanto opera”. In altri termini il vero comunicatore è colui che spiega quel che comunica in quanto lo compie con rispetto e verità, lasciando libero l’ascoltatore di aderirvi, di entrare in gioco col proprio pensiero e con la propria vita o di discuterlo senza paura e anche di metterlo in crisi.
La comunicazione è una necessità ed un bene perché non è soltanto incontro, ma anche un confronto fra diversi. Significa mettere l’altro nelle condizioni di apprezzare e decidere sui contenuti che diciamo. Diventa insomma un “entrare in gioco” da parte di chi comunica ma anche “chiamare in gioco chi ascolta”