Nel linguaggio sociale e politico del nostro tempo c’è una parola che viene usata spesso e, molte volte, con significati e prospettive diverse, e precisamente la parola globalizzazione. Vogliamo pertanto porre l’attenzione proprio su questo fenomeno della globalizzazione, che nell’ambito dell’attività didattica può essere oggetto di riflessione con gli studenti. E’ opportuno, anzitutto, tenere presente che con il termine globalizzazione indica , in senso ampio, il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo.
La coscienza del credente cristiano quando si accosta al fenomeno della globalizzazione è chiamata a porsi alcune domande: ma la globalizzazione è un bene o un male? E’ l’occasione di una maggiore libertà e di un benessere per i cittadini di tutto il mondo, o costituisce un pericolo, perché favorisce l’omogeneizzazione culturale, l’omologazione consumista, la fine delle particolarità culturali, dell’identità dei popoli e della ricchezza delle tradizioni locali? Sta qui il fondamentale nodo etico !
Non c’è dubbio che per una larghissima corrente di pensiero la globalizzazione rappresenta una minaccia per i diritti umani e per l’ambiente, soprattutto perché allarga ancora di più la forbice del divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri irrobustendo il potere economico e creando le basi per un neocolonialismo organizzato scientificamente sotto la cabina di regia di multinazionali, a danno dei poveri del mondo e persino delle classi medie della società.
Nell’IRC occore far prendere coscienza del fatto che il cristiano del nostro tempo deve farsi sostenitore , se vuol rimanere fedele al vangelo, di una globalizzazione nella quale la crescita economica sia pienamente integrata da altri valori, così da diventare crescita qualitativa; quindi equa, stabile, rispettosa delle individualità culturali e sociali, come pure ecologicamente sostenibile. Il termine “globale”, se inteso in modo coerente, deve essere “in-clusivo”, non “e-sclusivo”; deve fare ogni passo in grado di eliminare le persistenti sacche di emarginazione sociale, economica e politica.
A questo punto è evidente che il vero nodo etico non è quello di stabilire se la globalizzazione è giusta o sbagliata, un bene o un male, in quanto il fenomeno è ormai irreversibile; si tratto piuttosto di far uscire la globalizzazione dalla sua intrinseca ambivalenza di fenomeno che sta a metà strada tra un bene potenziale per l’umanità ed un danno sociale di non lievi conseguenze.
La riflessione etica cristiana non può non sottolineare con forza la necessità di orientare la globalizzazione verso una “globalizzazione della solidarietà”, da costruire attraverso una nuova cultura, nuove regole, nuove istituzioni a livello nazionale ed internazionale. E questo vale sia sul piano delle grandi questioni internazionali , che esigono una collaborazione tra politica , etica ed economia per sostenere progetti specifici a tutela di chi potrebbe rimanere vittima di processi di globalizzazione a scala planetaria, sia sul piano strettamente pratico e locale, ove ogni credente, nel suo piccolo, può opporsi all’ omologazione economica globale nel momento in cui riesce a fare scelte concrete e a cambiare il suo stile di vita.
Occorre una cultura educativa che partendo delle nostre scuole si dimostri in grado di saper testimoniare uno stile di vita che dal locale al mondiale riesca a costruire una globalizzazione solidale dei diritti; questa è la strada da intraprendere perché il “villaggio globale” non sia recepito come una omologazione ma una possibilità di crescita e di sviluppo dove il rispetto della diversità dei territori, delle culture, delle identità sia armonizzato con la visione planetaria dell’esistenza.