L’inizio dell’anno scolastico viene spesso paragonato alla partenza per un viaggio verso nuove scoperte ed esperienze. Come in ogni avventura che si rispetti c’è un punto di partenza e uno di arrivo. I docenti hanno scelto i “mezzi” con i quali viaggiare e programmato i tempi necessari. A rinforzo di questa metafora, agli alunni più piccoli talvolta si propone addirittura di costruire simboliche e colorate valigie di carta. Per gli studenti più grandi, invece, fin dai primi giorni di scuola, si preparano ampie descrizioni dei traguardi da raggiungere e superare: gli esami, i programmi di studio con i quali familiarizzare, le proposte previste dal Piano dell’Offerta Formativa… La scuola parte per questo viaggio con tutto il suo pesante carico di burocrazia e di umanità. Regole, orari, circolari… è tutto pronto. Eppure manca qualcosa. Lo si avverte come una sensazione che scorre sottopelle. Cosa abbiamo dimenticato? Cosa non abbiamo messo fra i bagagli di un sistema scolastico che ha fatto suonare la campanella di inizio anno? Non è uno zaino nuovo o un astuccio accessoriato. Non sono neppure i libri, il computer o i quaderni. Non abbiamo tralasciato mascherine chirurgiche né gel sanificante. Studenti, famiglie, insegnanti, laboratori, aule steam… Davvero… c’è tutto in queste nostre scuole. Allora perché sentiamo che manca qualcosa? In realtà quel senso di vuoto che ci capita di provare all’inizio di un anno scolastico è un segnale. È l’ombra che appare solo se usciamo all’aperto, alla luce del sole. È ciò che ci ricorda che al di là delle aule, dei protocolli e delle progettazioni varie, ci siamo noi in tutta la nostra umanità. Perché anche i docenti sono in viaggio, non solo i loro alunni. Con sé portano il proprio bagaglio di sentimenti, di sogni, di aspettative, di timori… nella consapevolezza che al termine del percorso sarà avvenuto un cambiamento, piccolo o grande che sia. E lo stesso vale per gli studenti che popolano le nostre aule ai quali poco importa se dovranno studiare Napoleone o Carlo Magno, ma che, come un caleidoscopio, vibrano di emozioni e desideri. Si protendono verso il futuro con un bisogno continuo di attenzioni e di sostegno perché crescere non è sempre facile: ci sono ostacoli da superare, fragilità da colmare, energie da catturare, paure da affrontare… Appena ci si rende conto di tutto questo, scopriamo di aver riempito a dismisura tante valigie dimenticando chi le deve trasportare e chi le aprirà per comprenderne il contenuto. Come iniziare allora questo nuovo anno scolastico? Partendo da noi e dai nostri alunni. Tessendo con loro relazioni vere in una dimensione di ascolto reciproco. Guardandoli negli occhi e sollecitando domande profonde che sappiano accendere il desiderio di apprendere. Non dimenticando mai che la scuola, prima di essere edificio, arredi, progetti, documenti… è comunità. È un microcosmo di individui che portano con sé un bagaglio di esperienze e di emozioni. È il luogo dove è necessario attivare forme di condivisione in cui l’apprendimento nasce anche dal mutuo supporto in un continuo percorso di crescita e miglioramento. È l’ambiente nel quale gli studenti dovrebbero essere valutati per i progressi che riescono a compiere lungo il viaggio. Edmond Haracourt ha scritto nella poesia “La canzone dell’addio”: Partire è un po’ morire rispetto a ciò che si ama poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante. Se l’inizio dell’anno scolastico è davvero la partenza per un viaggio, non temiamo di lasciare un po’ di noi stessi ai nostri alunni. Non c’è fine o morte in questo viaggio perché anche i nostri studenti lasceranno un po’ di sé stessi in un arricchimento reciproco. Non facciamoci intimorire dagli imprevisti o dalle difficoltà. Se dovremo viaggiare con la mascherina sul volto e con le regole del distanziamento, lo faremo… per il bene di tutti. Se incontreremo altri ostacoli, troveremo il modo per superarli. Ma mettiamoci in cammino partendo da noi e dai nostri studenti.
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