Standing ovation: il numero di minuti di applausi determina il valore di un film?
- Ester Guidobaldi
- 9 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Dopo gli ultimi avvenimenti a Cannes con Sentimental Value, sembra che l’apprezzamento spontaneo del pubblico si stia trasformando in un voto simbolico destinato a influenzare inevitabilmente l’opinione generale

Il grande palcoscenico dei festival cinematografici sta diventando un teatro di maschere, dove l’apparenza ha spesso la meglio sulla sostanza e la furbizia ruba la scena all’onestà critica? Le standing ovations, in particolare, sono ormai ampiamente radicate nelle anteprime mondiali tanto da sembrare più una tradizione che una reale reazione da parte dello spettatore. Non si parla d’altro, soprattutto dopo gli ultimi eventi del Festival di Cannes, dove il regista Joachim Trier ha superato ogni aspettativa con il suo film in concorso Sentimental Value, accolto da una standing ovation di ben 19 minuti. La pellicola racconta con delicatezza una vicenda familiare, seguendo la protagonista Nora, un’attrice di teatro che affronta crisi di panico ogni volta che deve salire sul palcoscenico. Non si tratta di un caso isolato. Sempre con Elle Fanning come protagonista il thriller atipico The Neon Demon di Nicolas Winding Refn, fu accolto con ben 17 minuti di applausi. Ancora più memorabile il caso di Il Labirinto del Fauno di Guillermo, presentato a Cannes nel 2006, e che suscitò discussioni per una standing ovation di addirittura 22 minuti. Anche il cinema italiano ha avuto il suo momento di gloria nel 2018, con Lazzaro felice di Alice Rohrwacher: una delicata opera accolta da 15 minuti di applausi.
Standing ovation e applausi lunghi a Cannes: quanto influenzano il giudizio sul film?
L’acclamazione autentica del pubblico pare si sia tramutata in un dato che determina il valore dell’opera, un voto simbolico destinato a influenzare inevitabilmente l’opinione generale. Perché succede questo? Per obbligo sociale? Per profitto? O per convenienze politiche? Una cosa è certa: questa abitudine ha radici americane e si è consolidata agli inizi ‘00. Potrebbe anche trattarsi di un fenomeno emotivo e personale, soprattutto se si ha in carne ed ossa in sala l’interprete del film, "Quando le persone si alzano in piedi per la standing ovation alla fine, lo fanno in parte per come sono state fatte sentire dal film, ma lo fanno anche per l'entusiasmo che provano per le persone coinvolte", dichiara lo sceneggiatore e produttore di Bones and All David Kajganich a THR. In parallelo, sono quasi scomparse le espressioni negative come i fischi. Che fossero giusti o meno, rappresentavano comunque una forma di sincerità del pubblico. Oggi, se un film non piace, semplicemente si resta in silenzio. Non manca però chi difende le standing ovations, vedendole come un'opportunità di riconoscimento di anni di sacrifici e duro lavoro. È il caso di Kevin Costner, che dopo le difficoltà produttive affrontate per realizzare Horizon: An American Saga, si è detto visibilmente commosso dalla reazione del pubblico.