L’ira, strada pericolosa che distrugge le relazioni e conduce alla follia
L’orizzonte del ragionamento, in questo senso, non può che essere quello teologico-morale. Vediamo, allora, in prima battuta, di capire cosa è l’ira. La parola ebraica, presente nell’AT, che indica il vocabolo dell’ira è: ‘af, il cui suono sta ad indicare e a richiamare le “narici” sbuffanti del collerico. Tale significato rimanda ancora ad un atteggiamento piuttosto animalesco e ad immagini meteorologiche : è una “bufera”, è “tempesta”; è arrabbiato “come una belva”, è “come un cavallo imbizzarrito”, è “inviperito”. Ecco, allora, che l’ira è un vizio capitale perché genera altri comportamenti sbagliati, tra i quali la distruttività, la vendetta, il bullismo, le minacce, l’esplosività, l’incolpare, la sconsideratezza e perfino il vandalismo . Ecco perché gli antichi latini dicevano che l’ira è initium insaniae, è un avvio verso la follia. Rende folli e chi è folle diventa incontrollabile.
Ma è la stessa Bibbia che nel libro dei Proverbi, al cap. 17,14, dà un ammonimento chiaro: “Iniziare un litigio è come aprire una diga e allora, prima che la lite si esasperi, troncala!”. Ed ancora: “Se sbatti il latte, esce il burro; se schiacci il naso, ne esce sangue; se spremi la collera, ne esce la lite” (cap.30,33); “L’ira di un re è simile al ruggito di un leone: chiunque la eccita rischia la vita”(cap.20,2).
Ma anche il Nuovo Testamento aiuta nella riflessione sull’ira. Già nel discorso della montagna Gesù è molto chiaro: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio.” L’ira, in pratica, sconvolge l’animo, riduce il controllo delle parole e della azioni, conduce alla vendetta, all’odio, all’insulto, all’ingiuria e anche all’omicidio.
Nell’insegnamento/apprendimento dell’IRC occorre far comprendere agli studenti che fare albergare l’ira nel cuore, quasi come “modus vivendi”, esclude dalla relazione con Dio e a nulla valgono riti, preghiere e sacrifici, atti di carità se l’ira rabbiosa esce dagli occhi, dal cuore e dalla parole di colui che si definisce credente Per questo l’apostolo Paolo non mancava di raccomandare i cristiani di Efeso: “Nell’ira non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasione al diavolo! … Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza…” (Ef 4,26.31).
Alla luce di quanto sopra evidenziato, sorge però una domanda: che senso ha quella espressione che spesso si trova sulle labbra di credenti, non credenti, agnostici e che si trova anche nella Sacra Scrittura, ossia che esiste anche “l’ira di Dio”?
Nella Bibbia l’ira di Dio non è tanto un’emozione o uno stato psicologico alterato, quanto la evidenziazione del fatto che tra santità e peccato vi è una netta opposizione. Dio ama fortemente la sua creatura; quando questa, però, rompe la relazione con lui candendo nel peccato, egli si adira e soffre: l’ira di Dio, di conseguenza, non è una reazione, ma una sofferenza per ciò che la creatura fa di ingiusto, di male, di idolatria, di nefandezza. Dio si sdegna per tutto ciò che è ingiusto e sbagliato, per tutto ciò che è male, tenebra, menzogna, tradimento della libertà, inimicizia, e si sdegna sempre con un giusto giudizio, mai con parole incontrollate; Dio adirandosi non perde, come la creatura, il controllo delle Sue capacità: egli giudica con misericordia e amore.
Se è vero, dunque, che agli studenti occorre far capire che c’è una direzione distruttiva dell’ira, è altresì vero che bisogna far loro notare che nel nostro tempo l’ira va anche letta come sentimento reattivo di fronte a situazioni moralmente inaccettabili. Se un uomo cade nell’ira a causa di una frustrazione, una delusione, un torto subito o molto altro ancora per cui assume comportamenti come la vendetta e la perdita del controllo, tali comportamenti sono inaccettabili ; ma se una persona vede la giustizia calpestata, il povero maltrattato , la pace minacciata, l’amore distrutto e vilipeso e si sdegna, protesta perché questi valori sono violati e disprezzati, in questo caso il suo gesto di irascibilità non è altro che un invito a scuotere gli animi e risvegliarli dall’indifferenza, apatia, rassegnazione, rinuncia, e a suscitare in essi giusta indignazione.
Non bisogna confondere, pertanto, l’iracondia che sfocia nell’aggressività, che è segno dell’impotenza della razionalità di chi non riesce ad aggrapparsi alla coerenza della giustizia e precipita nell’assurdo perdendo ogni autocontrollo, con l’irascibilità intesa come indignazione che, invece, scaturisce dallo sdegno in presenza della violenza e dell’immoralità, pubblica e privata, e che non fa ricorso alle urla e all’ira ma alla ragione che è capace di imporsi da sé.cx
Il credente che ricorre a parole cariche di livore, vendetta e rancore sarà sempre vittima del peccato di ira e non farà che seminare odio e malessere: sarà quindi sottoposto a giudizio.
Il modo migliore per sfuggire all’ira è quello di capire che le parole hanno un grande potere e che occorre una grande responsabilità nel comunicarle e gestirle: è questa la strada che bisogna percorrere per evitare di lasciarsi dominare dall’ira e dalla violenza!