Rubrica: Riflessioni oltre la soglia
Il linguaggio religioso diventa nell'IRC oggetto di studio nelle sue espressioni verbali e non verbali, nei suoi segni e nei suoi simboli.
È certo che oggi la parola “Dio”, e con esso tutto il linguaggio religioso che vi fa riferimento, è divenuta quanto mai ambigua, e quindi da trattare con somma cura, attenzione e discrezione. Fino a preferire talora il silenzio ove l’ambiguità desse adito a sicuri fraintendimenti.
La religione è, tra tutte le materie scolastiche, quella che fa entrare gli studenti nel linguaggio del mistero, di fronte al quale la ragione rimane sempre in ricerca, atteso che ciò che si studia e si indaga trascende la capacità di comprensione umana.
Come ben sappiamo, l’IRC è uno spazio pubblico ove avviene un libero dibattito e confronto delle idee, a cui tutti gli studenti possono partecipare con uguale dignità. In esso il docente di religione fa emergere domande religiose, pensieri, linguaggi, giudizi di valore, ermeneutiche del mondo più o meno condivise.
Tra le regole da rispettare per entrare in questo spazio educativo che è l’IRC, la principale è non presentarsi con stile autoritario, magisteriale, bensì come chi ritiene di presentare all’intelligenza e libertà degli studenti “verità teologiche”, disposto a parlarne con tutti, a sollecitare il parere e il giudizio di tutti.
Lo “stile” del linguaggio religioso è necessario che sia differenziato secondo i vari contesti, età della vita, complessità delle situazioni; dovrebbe essere anzitutto “il linguaggio del “Verbum caro factum est”, (“E il verbo si fece carne” – Prologo vangelo di Giovanni) che non s’impone ma si offre come oggetto di indagine” ; dovrebbe essere un linguaggio maieutico, che aiuta a vedere con i propri occhi e a sperimentare nella vita ciò che altri hanno vissuto e sperimentato.
Il linguaggio religioso cristiano dovrebbe ancora connotarsi come il linguaggio dell’analogia, il linguaggio del simbolo, che dischiude orizzonti oltre il dato empirico; il linguaggio del racconto, il linguaggio allusivo della poesia, del canto, della musica, tutti linguaggi che suscitano consonanze interiori libere e profonde. Del resto, così appaiono i molteplici linguaggi dei vari generi letterari di cui la Bibbia è intessuta: racconti, preghiere, inni, detti sapienziali, testi legislativi, profezie, immagini, visioni ecc.; tutti finalizzati a parlare in vari modi di Dio, ad indirizzare e potenziare lo sguardo in riferimento a Lui.
Come ultima indicazione direi che il linguaggio religioso cristiano dovrebbe essere il linguaggio di “una verità che promuove l’umano” e in nessun modo gli è estranea o lo mortifica. In sintonia con la famosa “svolta antropologica” della teologia, teorizzata da Karl Rahner e fatta propria da Giovanni Paolo II a partire dalla sua prima enciclica Redemptor hominis del 1979, il linguaggio religioso non dovrebbe mai parlare di Dio o delle verità religiose cristiane come di una “cosa in sé” indifferente alla vita concreta degli studenti, ma dovrebbe sempre curare di mettere in luce i risvolti esistenziali di promozione dell’umano che ad esse sono indissolubilmente connessi, pena il loro fraintendimento.
Il linguaggio religioso educa a un peculiare sguardo sulla realtà e sulle verità religiose cristiane