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Il ruolo dei social nella vita degli italiani: a colloquio con il giornalista e saggista Filippo Cec

L’albero dei social ha radici profonde e lì dove sembrano esserci superficialità riemerge la storia degli italiani. Ne ha scritto Filippo Ceccarelli, giornalista e saggista, nel suo ultimo saggio “Lì dentro. Gli italiani e i social” (Feltrinelli). Nel saggio afferma che iI social risagomano la società, contribuendo a formare stili di vita e una nuova antropologia. Per uno che disdegnava i social e li riteneva una perversione della comunicazione è un bel cambiamento. “Sostanzialmente si tratta di una storia di una persona di una certa età – afferma Ceccarelli – . Ho 67 anni, cresciuto in un mondo impostato sulla carta stampata, sulla scrittura e sulla documentazione. Ritenevo i nuovi mezzi una sorta di laboratorio del male: responsabili dell’immiserimento del discorso pubblico, dove si vedevano politici litigare come ragazzini di quinta elementare. Basta progetti, nemmeno uno straccio di ideale”

Cosa l’ha spinta allora a studiarli?

La loro enorme vitalità. Oggi in giro non si vede più nessuno con un giornale in mano. Tutti in genere sono sempre col telefonino, più che altro a chattare, su qualche social. Lì dentro ho percepito un’energia sociale estranea al mio mondo. Ed è partita un’avventura un po ‘ goffa: di una persona anziana, poco pratica di strumenti digitali, che ha la cover a libretto sul cellulare, ma con tanto desiderio di capire.

Ma lei scrive che per ritrovare se stessi bisogna mettersi da soli di fronte ad un libro.

Certo. Nei libri c’è la risposta. Per questo ho voluto un libro sui social: un riconoscimento al primato della scrittura. Ma questo lavoro mi ha trasformato: dopo una fase di entusiasmo quasi infantile ho iniziato a osservare le persone nelle loro pagine Instagram. L’albero dei social ha radici profonde: tutte quelle che sembrano superficialità hanno delle basi profonde. Allora la mia precomprensione sui social è cambiata: dentro i profili Instagram di oggi ci siamo noi italiani, così come siamo sempre stati. La tecnologia digitale, in una cornice fatta di istantaneità, riattiva un passato molto lontano. Per questo ho smesso di considerare la rete il laboratorio del male.

Il narcisismo però dilaga sui social.

Chiaramente con la fine di determinate idee di collettività, di comunismo, dove gli altri venivano prima di me, con la secolarizzazione per cui quasi più nessuno crede nel paradiso o nell’inferno il risultato è che l’ego dilaga. Sui social con più facilità. Ma la prevalenza dell’individualismo non è colpa dei social. Il narcisismo degli italiani viene da lontano.

A fine del saggio riporta una citazione del mistico Isacco di Ninive: “Quando l’uomo può sapere di essere pervenuto alla purezza? Quando vede belli tutti gli uomini e nessun uomo gli sembra impuro, allora è veramente puro nel suo cuore”. Tale criterio si può applicare anche scorrendo i post di certi nostri politici?

Scrivendo quella citazione pensavo al Ken umano, Rodrigo Alves, che si è sottoposto a innumerevoli operazioni estetiche per assomigliare prima al Ken di Barbie e poi per diventare donna. Accettare il Ken umano è molto più difficile di digerire Salvini che in confronto sembra un dj di provincia. Sui social si sta consumando la dissoluzione del ceto politico. Si presentano ogni giorno con una bambolina, sulla spiaggia o a torso nudo: è la prova che il ceto politico italiano non ha più la capacità di risolvere i problemi della gente.

C’è un riferimento spirituale in quella citazione.

Credo fermamente che gli uomini sono tutti fratelli. Questa fratellanza si basa sulle nostre fragilità e debolezze. Come uomo imperfetto vorrei essere indulgente anche nei confronti degli altri. Non so se questo significhi essere cristiani: ma senza apocalissi dobbiamo cercare di riconoscere i nostri limiti: nella rete sono abbondantemente presenti debolezze e limiti a tutti i livelli.

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