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La nuova sfida della formazione: la comunicazione umanistica e scientifica tra problemi e prospettive

Parla Lucia Rodler, docente di Letteratura applicata all’Università di Trento: “Anche le discipline umanistiche necessitano di un bagno di umiltà. Il codice culturale condiviso del Novecento si è frantumato: i riferimenti che per i boomer erano immediati oggi risultano oscuri alle nuove generazioni”
formazione

Visitiamo il Louvre in due ore sentendoci appagati; impariamo le lingue con le app tra una notifica e l’altra. Ma quando si parla di letteratura o filosofia, ci trinceriamo dietro un rigido purismo: o l'opera omnia o il nulla. È il grande paradosso della cultura umanistica contemporanea: un sapere che rischia l’estinzione per eccesso di zelo. Serve un "bagno di umiltà" per scendere dalla cattedra e accettare che semplificare non significa tradire ma seminare. Lucia Rodler è docente di Letteratura applicata all’Università di Trento e curatrice del convegno -sempre a Trento- lo scorso novembre dal titolo: ‘La comunicazione umanistica e scientifica: problemi e prospettive’. 


Professoressa Rodler, partiamo dall'etimologia. Comunicare è munus: intreccio inestricabile di dono e dovere. Come si evita che la burocrazia della ‘Terza Missione’ universitaria soffochi questa gratuità?

La Terza Missione non può ridursi a mera valorizzazione economica o trasferimento tecnologico: è innanzitutto impegno civile. L'università deve cessare di essere torre eburnea per farsi permeabile: un luogo dove la cultura entra ed esce in osmosi con il territorio. Il munus è responsabilità verso la cittadinanza: un ascolto attivo delle esigenze della comunità per trasformare il sapere in un bene equitativo, accessibile a tutti. Non è solo un dettame istituzionale: è la volontà di rendere l'università un'esperienza tangibile, capace di radicarsi nel tessuto sociale.


Siamo abituati a pensare che la scienza ‘dura’ necessiti di traduzione, mentre diamo per scontata l'accessibilità della cultura umanistica. È un errore di prospettiva?

Assolutamente: anche le discipline umanistiche necessitano di un bagno di umiltà. Il codice culturale condiviso del Novecento si è frantumato: i riferimenti che per i boomer erano immediati -dai Promessi Sposi ai testi biblici- oggi risultano oscuri alle nuove generazioni. Se i docenti non rinnovano i linguaggi, il rischio è l'estinzione di questo patrimonio. Dobbiamo abbandonare certi snobismi strutturalisti e recuperare la chiarezza: la divulgazione è ‘semen’, una disseminazione che accetta di perdere qualcosa in profondità per guadagnare in vita e diffusione.


Esiste però il timore della banalizzazione: semplificare significa tradire la complessità?

È un paradosso: accettiamo di visitare il Louvre in un giorno sentendoci arricchiti o di approcciare le lingue con app come Duolingo. Eppure, sulla letteratura diventiamo intransigenti: o leggi tutto Joyce o nulla. È un atteggiamento autolesionista. Meglio che ottocento persone su mille accedano a una versione divulgativa della cultura piuttosto che riservarla a dieci specialisti. La divulgazione è un avviamento, una soglia: non sostituisce lo studio, lo propizia.


I tempi lunghi dello studio umanistico sembrano cozzare con la "dinamite dei decimi di secondo" dei nuovi media. È una convivenza possibile?

Deve esserlo. I media -dalla televisione di ieri ai social di oggi- sono potenti inneschi: io stessa mi avvicinai ai classici grazie agli sceneggiati RAI. Oggi l'editoria e le piattaforme offrono nuove bussole per orientarsi. La formazione del futuro non può più essere solo verticale: immagino una figura professionale a forma di pi greco (Π). Due gambe solide fondate sulle competenze specialistiche e informatiche, unite però da un architrave orizzontale: la capacità di comunicare e di connettere i saperi in modo interdisciplinare. È questa la sfida per i nostri dottorandi: essere traduttori di complessità


“Sulla letteratura diventiamo intransigenti: o leggi tutto Joyce o nulla. È un atteggiamento autolesionista. I media sono potenti inneschi. Oggi l'editoria e le piattaforme offrono nuove bussole per orientarsi. La formazione del futuro non può più essere solo verticale: immagino una figura professionale a forma di pi greco (Π)”

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