“L’integrazione interculturale non avviene per caso, ma deve essere voluta, provocata e progettata. Non si crea una classe interculturale se non c’è un progetto di intercultura nella scuola”
Nell’attività didattica potremmo definire l’interculturalità come etnorelazionalità, relazione tra etnie diverse. L’interculturalità è cosa diversa dalla multiculturalità; quest’ultima infatti fa riferimento alla semplice coesistenza in uno stesso territorio di gruppi culturali diversi senza che fra di essi si realizzino vere e proprie forme di interazione.
L’integrazione presuppone il mantenimento della propria identità etnica, culturale, religiosa, implica un certo grado di cooperazione volontaria da parte di entrambi i gruppi.
Il concetto di integrazione interculturale nell’IRC è un concetto forte. L’integrazione interculturale non avviene per caso, ma deve essere voluta, provocata e progettata. Non si crea una classe interculturale se non c’è un progetto di intercultura nella scuola.
Si può creare, nel migliore dei casi, una scuola o classe multietnica o, per coloro che ancora credono che esistono le razze, multirazziale. Se l’atteggiamento della scuola è soltanto multiculturale, di tolleranza, è troppo poco. Si tratta di andare oltre la tolleranza, verso una prospettiva di interculturalità viva e inevitabilmente progettuale.
E qui si apre il discorso di percorsi didattici interculturali e interreligiosi. La didattica interculturale può essere attuata al di là della presenza o meno in classe di alunni di altre nazionalità, valorizzando innanzitutto quello che i curricoli disciplinari già contengono. In questo senso l’interculturalità dovrebbe configurarsi come “fatto ordinario” del processo educativo. Attuare l’interculturalità nella scuola significa utilizzare il patrimonio della propria cultura come punto di partenza e accettare operazioni di rilettura, di confronto, innesti di nuovi saperi, comparazioni e mescolamenti con altre realtà culturali. La paideia del terzo millennio dovrà diventare sempre più interculturale, ossia una paideia per l’epoca della globalizzazione.
L’IRC è, dunque, uno spazio dove è possibile favorire meglio percorsi interculturali e interreligiosi. Certamente favorisce l’interculturalità la didattica che utilizza il metodo della narrazione, che è forse il metodo più caldo, accogliente e democratico per fare intercultura. Tutti, infatti, hanno qualcosa da narrare, se però qualcuno è disposto ad ascoltare. Senza l’ascolto dell’altro non c’è interculturalità. Se l’interculturalità è una “relazione di reciprocità”, allora non basta parlare all’altro né parlare dell’altro, ma occorre ascoltare l’altro. È necessario che anche l’altro parli, si manifesti, si disveli, che comunichi il racconto sulla sua vita.
Nell’ora di religione tanto un bambino quanto un adulto hanno una storia di vita da raccontare. Per questo nessuno è escluso dalla narrazione. Si può chiedere di narrare una fiaba, una festa, un viaggio, un gioco, un sogno, un piatto tipico, un film… La convinzione è che la via narrativa sia una delle metodologie più efficaci per l’educazione interculturale. L’obiettivo del metodo narrativo è quello di dare un impianto narrativo al percorso educativo. In questo modo non è più importante il contenuto, ma l’esperienza formativa (educare narrando).
L’IRC è una “via maestra” che consente l’attuazione di un dialogo interreligioso all’interno di una comparazione integrata. Il metodo comparativo o del confronto è potenzialmente una via per educare alla complessità e al pluralismo, alla relatività (non relativismo) e al confronto. La comparazione integrata è una strada che può favorire il dialogo tra le religioni. L’IRC, infatti, ha il compito di organizzare il confronto tra questioni dottrinali, cultuali, etiche, esistenziali che sono presenti nelle varie culture religiose, ed aiutare lo studente a discernere sul tipo di visione della vita che esse offrono.
In conclusione, ci sono molteplici ragioni per scegliere l’interculturalità e per far dialogare tra loro le religioni; ci sono molteplici buone pratiche per realizzarla nella scuola e nella società. In particolar modo oggi è una scelta culturale, antropologica, etica, politica.
“Dentro la scuola l’intercultura – afferma Cambi, in Intercultura: fondamenti pedagogici, ed. Carocci, 2001, è già un’esperienza ‘perturbantÈ poiché reclama un’idea nuova di cultura, nuove pratiche di convivenza e di insegnamento, nuove tecniche (antropologiche) di comunicazione e di pensiero: essa si delinea come una sfida, e a più livelli”. Accettare la “sfida” è il compito dell’IRC nella scuola dei cambiamenti, al fine di superare il limite dell’etnocentrismo, di un modello di società come spazio delle identità separate per costruire insieme una convivenza democratica, lo spazio della comunità plurale, in grado di realizzare un “noi” che è la base di una società in cui i giovani possano svilupparsi ed evolversi con relazioni dotate di senso.
L’IRC è una disciplina che pur partendo dalla sua base confessionale, è riuscita nella scuola dell’autonomia ad allargare gli orizzonti e a concorrere a sviluppare una scuola interculturale, dove il riconoscimento della diversità non è qualcosa di fatto, di automatico, ma si va costruendo con progetti educativi e sinergie efficaci finalizzate a rendere la scuola più attenta ai bisogni formativi dei nostri studenti e alle interdipendenze mondiali.
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