«Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio».
Il bisogno di esprimere concetti, richieste, domande e di comunicare sé stesso agli altri è talmente primordiale che ciascun essere vivente ha elaborato strategie per comunicare qualcosa di sé. Che sia il colore sgargiante di un fiore, la danza di un’ape, il ruggito di un leone o il miagolio di un gatto… ogni individuo dispone di un linguaggio con il quale relazionarsi a ciò che è altro da sé. L’uomo ha elevato l’uso della lingua come strumento di comunicazione a forme espressive altissime quali la poesia, la letteratura, il teatro… Scrittori, poeti e artisti hanno dimostrato che le parole possono esprimere le profondità dell’animo umano in tutte le sue complesse sfaccettature. Esperti e studiosi, inoltre, hanno fatto della comunicazione un’arte da apprendere per potenziarne il potere persuasivo, basti pensare ai suoi impieghi nel campo del marketing. Eppure, malgrado tutto questo processo evolutivo, comunicare in modo efficace è ancora una delle cose più complesse da realizzare. Basti pensare a quante volte abbiamo la spiacevole sensazione che i nostri messaggi non vengano capiti o ci sentiamo offesi dalle parole pronunciate da altri.
La realtà è che le parole hanno un peso anche quando vogliono essere innocue perché tutto dipende da chi le ascolta e da come le interpreta. Se emittente e ricevente non sono sintonizzati, tutto diventa complesso e faticoso. Anche ai nostri alunni accade lo stesso. Capita che non si sentano capiti da noi adulti o dai coetanei. Capita anche che non riescano a trovare le parole giuste per esprimere le proprie emozioni o che usino quelle sbagliate. Capita, infine, che preferiscano il silenzio a una comunicazione difficile che li spaventa. In un mondo digitale dove i messaggi dal piano verbale, si spostano su quello virtuale fatto di chat, social e mille altri canali è comprensibile che l’educazione alla comunicazione stia diventando un’esigenza importante. In questa direzione trovo molto interessante il Manifesto elaborato da Parole Ostili (https://paroleostili.it/), un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. Credo valga la pena di soffermarsi a riflettere con i nostri alunni proprio sui principi che sostengono il manifesto contro la comunicazione ostile.
Scorrendone i punti, come non condividerne la profondità? Per fare alcuni esempi: – Si è ciò che si comunica: ciò che diciamo esprime ciò che siamo anche quando può non sembrare così. – Prima di parlare bisogna ascoltare: quante volte le discussioni sono sterili perché partono da posizioni arroccate nella convinzione di una ragione che non esiste se non si cerca di capire il punto di vista dell’altro, di andare in profondità per avere una visione che vada oltre l’esigenza individuale e il proprio sé. – Le parole sono un ponte: esse hanno un potere enorme perché possono avvicinarci agli altri; possono costruire relazioni, permettere scambi di idee, progetti, sogni… – Le parole hanno conseguenze: ogni parola può avere conseguenze, piccole o grandi. Parlare giusto per farlo non è mai la scelta migliore. Quante persone si possono ferire con parole incaute, gettate al vento o sibilate per invidia, superficialità o per il solo gusto di denigrare qualcuno o qualcosa?
Per comunicare con gli altri è necessario prima di tutto chiederci chi siamo, cosa sentiamo e cosa vogliamo dire a chi ci ascolta. Dobbiamo, inoltre, scegliere gli strumenti giusti per trasmettere tutto questo. Non è semplice. Non lo è né per gli adulti, né per i ragazzi. Ecco perché improntare un percorso verso una comunicazione non ostile è faticoso ma importantissimo. Affrontare questo tema a scuola può diventare anche un’occasione di crescita personale perché ci aiuta a riflettere su come comunichiamo, su quali errori incautamente commettiamo e su quali possibili strategie possiamo adottare per migliorare.
L’ultimo punto del Manifesto della comunicazione non ostile e inclusiva riassume quello che la saggezza popolare esprime con proverbi meravigliosi quali: “Meglio un bel tacere che un triste parlare” o “Un bel tacer non fu mai scritto”. Nel decimo principio del documento, infatti, si legge: «Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio». E su questo silenzio lasciamo scorrere i nostri pensieri.
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