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LA GIUSTIZIA CHE RENDE LIBERI: a colloquio con Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, vittima di una com

La legge deve essere veramente uguale per tutti, soprattutto per gli ultimi. E’ la definizione di giustizia di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, geometra romano, morto a 31 anni nel 2009 per le conseguenze di un pestaggio da parte di due carabinieri, mentre era in custodia cautelare a seguito di un arresto per droga. Ci sono voluti 12 anni per far emergere la verità. Ilaria Cucchi questa estate è stata ospite dell’Agosto Degasperiano, organizzato dalla Fondazione trentina Alcide De Gasperi per un incontro dal titolo: “La giustizia che rende liberi” “Che la giustizia renda liberi è una grandissima affermazione – ci ha spiegato Ilaria Cucchi – di primo impatto mi fa pensare che mio fratello Stefano è morto di giustizia e di indifferenza. Ha iniziato a morire in quell’aula di tribunale dove si stava svolgendo l’udienza di convalida del suo arresto. Di fronte ad un magistrato, con un avvocato d’ufficio perché il suo avvocato non era stato convocato. Da poco aveva subito il pestaggio. Ho ascoltato l’audio di quella udienza: le persone che dovevano giudicare Stefano non hanno saputo superare l’indifferenza. In altre parole non hanno saputo fare il loro mestiere. Se avessero fatto il loro dovere probabilmente oggi non saremmo qui a parlare del caso Cucchi. E invece Stefano fu trattato come un cittadino di serie B”.

Quindi se dovesse definire la giustizia cosa direbbe? La legge è uguale per tutti: anche e soprattutto per gli ultimi. Aveva mai avuto a che fare prima con i tribunali? No, non ero mai entrata in un’aula. Ma credo oggi di poter lanciare un messaggio positivo: col tempo ho capito che la giustizia è fatta dagli uomini. Quando sulla nostra strada incontriamo magistrati seri e onesti, desiderosi di fare il loro mestiere, allora possiamo constatare come la giustizia può essere veramente uguale per tutti.  Sta dicendo che se ha trovato giustizia è grazie a degli uomini e non al sistema? I magistrati corretti e scrupolosi diventano degli eroi agli occhi dell’opinione pubblica. Dovrebbe invece essere la normalità: di norma i giudici e il sistema giudiziario dovrebbero agire in modo da garantire a tutti il medesimo trattamento. A questo proposito “la giustizia rende liberi” è una frase particolarmente significativa: oggi la storia di Stefano può diventare una lezione importante. La morte di Stefano diventerà sempre meno inutile nel momento in cui saremo capaci di imparare la lezione di giustizia che si porta dentro.  Recentemente è stato realizzato un film sulla storia di Stefano, “Sulla mia pelle”, per la regia di Alessandro Cremonini: si riconosce nella ricostruzione fatta? Quel film è fantastico. E’ basato sugli atti processuali del primo processo, quello sbagliato, contro i medici e il personale penitenziario. E’ un film duro, che non fa sconti a Stefano nè alla sua famiglia. Si racconta la vicenda e si rende bene l’idea del calvario vissuto da mio fratello. Quel film è stato uno strumento potentissimo per arrivare a tutti. Chiunque avesse avuto dei dubbi su come sono andate le cose vedendo il film si è potuto chiarire le idee. Cosa l’ha sostenuta di più in questi 12 anni di battaglia? Il calore delle persone. La gente normale, incontrata per strada: mi fermano per dirmi: “Vai avanti!”. Sembra che mi conoscano da sempre e riconosco nelle loro parole il desiderio di riscatto e di giustizia che c’è in ognuno di noi. Soprattutto quando si ha a che fare con istituzioni che non solo non ci aiutano, ma diventano il nostro peggior nemico. La forza poi l’ho trovata nel mio avvocato, Fabio Anselmo, che è diventato il mio compagno. Infine nei magistrati Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Giovanni Musarò che negli ultimi processi hanno dimostrato quanto valesse la pena arrivare alla verità. Dall’altra parte in cosa ha trovato gli ostacoli più grandi? Nei depistaggi che si svolsero poco dopo la morte di Stefano nel dichiarare, senza aver fatto l’autopsia a mio fratello, che era morto per cause mediche. Fino all’ultimo processo dove è stata stabilita la verità la mia famiglia ed io abbiamo subito tutta una serie di tentativi di nascondere la verità. In questi giorni si è discusso di riforma della giustizia: lei cosa direbbe ai politici? Non sono un magistrato né un avvocato. Quello che posso dire è che se dodici anni fa fosse stata in vigore la legge che stanno discutendo noi non saremmo mai arrivati alla verità su Stefano. Ci sono voluti prima sette anni di processi falsi per poi arrivare piano piano a delineare i fatti e a raggiungere la verità. Riforma da bocciare dunque? Assolutamente si. Che riforme sarebbero necessarie invece a suo avviso? I cittadini non dovrebbero mai trovarsi da soli e senza risorse. La legge deve essere veramente uguale per tutti. Uno dei problemi è che per avere giustizia occorre spendere un mare di soldi in avvocati? Esattamente: proprio per questo la giustizia non è uguale per tutti. 12 anni di processi sono costati tantissimo alla mia famiglia, non solo sul piano economico. Noi avevamo una vita dignitosa ed abbiamo investito tutto il nostro denaro. Per non parlare del piano emotivo che si ripercuote inevitabilmente sulla salute. Ha un bel ricordo di Stefano da raccontare? Ho una marea di bei ricordi di Stefano: prima cosa la sua risata contagiosa. Ma una cosa mi sento di raccontare: quando lui c’era io credevo di avere una vita perfetta, una famiglia perfetta e un lavoro perfetto. Eppure lui mi domandava: “Ilà: ma tu sei felice?” Adesso gli risponderei di si: perché siamo riusciti a trasformare la sua storia in un simbolo di speranza per tutti coloro che sono disperati.

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