Dopo la sentenza della CGUE del 13 gennaio scorso continuano ad arrivare importanti sentenze a favore dei docenti precari di religione circa l’abuso della reiterazione dei contratti di lavoro oltre i 36 mesi di servizio, che confermano come nei confronti di questa categoria, penalizzata, sia crescente l’attenzione soprattutto da parte dei giudici. In attesa che la stessa attenzione sia mostrata da parte di chi legifera e governa. Lo abbiamo affermato già diverse volte: se non interverrà la politica con una procedura straordinaria per superare il precariato degli insegnanti di religione, sarà la magistratura a darci giustizia.
Tutte e quattro le sentenze della Corte d’Appello di Catania – di cui abbiamo già dato notizia in questi giorni – ribadiscono i principi affermati nella sentenza della CGUE, ossia che l’idoneità e l’eventuale sua revoca non costituiscono un motivo obiettivo per giustificare la reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi di servizio. Inoltre, aspetto più importante: l’uso dei contratti a tempo determinato in successione degli insegnanti di religione si giustificherebbe solo nel caso di un fabbisogno provvisorio, mentre, al contrario, si tratta di una necessità duratura.
Per chiarirci: secondo la Corte europea è compito del Giudice nazionale verificare concretamente che il rinnovo dei contratti a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie e che tale possibilità non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti del datore di lavoro in materia di personale. Nel caso specifico, come ben sappiamo, non è così. Parliamo di precari che svolgono e hanno svolto lo stesso lavoro per più anni, spesso tantissimi anni. La sentenza, però, non converte i contratti, ma riconosce confermando precedenti pronunce emesse per altri docenti che il personale della scuola che lavora in condizioni di precarietà subisce un danno oggettivo e, pertanto, va risarcito. Spetta poi al giudice nazionale accertare l’abuso e “sanzionare debitamente tale abuso e eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”, cioè spetta al Giudice la decisione circa la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
La politica dovrà ammettere che la situazione di precariato oltre i trentasei mesi di sevizio non è un normale uso dello strumento contrattuale ma un abuso; e gli abusi sono una violenza nei confronti dei lavoratori che uno Stato democratico non può tollerare. Fino a quel giorno, noi continueremo a proporre ricorsi collettivi e a sollecitare gli insegnanti di religione ad aderirvi. Ricordo che per gli iscritti Snadir che vantano non meno di 36 mesi (tre anni scolastici) di incarico su posto libero e vacante, l’adesione al ricorso è gratuita.
La prassi tutta italiana di impiegare personale nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l’abuso, deve finire. Occorre a tutti i costi rimettere al centro della vita politica il tema del lavoro e l’eliminazione del precariato. Il lavoro precario è espressione di una società soggetta all’arbitrio del potere economico che mortifica la dignità della persona, non garantendole adeguate tutele giuridiche e queste prime sentenze, successive alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 gennaio, lo confermano.