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Paola – Reggio Calabria

La mia condizione di precariato umilia la mia persona, sia come cittadina e come lavoratrice dello Stato Italiano… Paola di Reggio Calabria, insegnante di Religione da 32 anni.

Caro ministro, la ringrazio per la sua disponibilità ad ascoltare la voce di quanti come me, si ritrovano oggi qui a rivendicare quei diritti, riconosciuti ad altre categorie di insegnanti, ma negati agli I.R.C. Sono Paola Emanuela, vengo dalla punta dello stivale, Campo Calabro, un paese in provincia di Reggio Calabria. Accompagnata dal mio sposo che ormai da 39 anni condivide con me le fatiche di portare avanti una famiglia con 4 figli, di cui 2 di loro, ora hanno la propria. Insegno religione nella scuola secondaria di primo grado, affrontando l’onere e l’Onore di entrare in 18 classi, gestendo quotidianamente, ogni ora, contesti e realtà differenti, ma lo faccio da 32 anni, con la stessa passione e con lo stesso impegno, convinta come sono della fondamentale importanza, riconosciuta anche dall’Intesa, che ha questo insegnamento, nella formazione integrale della persona. Infatti, come lei ben sa, l’I.R.C. contribuisce a trasmettere ai ragazzi i grandi valori della vita, li aiuta a crescere come persone libere, facendogli apprendere quei saperi che permettono loro di decodificare, codificare e dare significato a quanto sperimentano nella cultura dentro la quale vivono. Li apre, altresì, al confronto, al rispetto e alla ricchezza delle diversità. Avendo avuto i requisiti necessari, nel 2004 ho partecipato e superato (acquisendo l’idoneità) al concorso indetto per gli I.R.C., sperando sempre di vedere prima o poi riconosciuto il mio lavoro in modo stabile. Sono trascorsi 17 anni da allora e quando l’anno scorso si è palesata una speranza, le ristrettive sullo scorrimento della graduatoria, hanno infranto questo sogno. La mia condizione di precariato umilia la mia persona, sia come cittadina, lavoratrice dello Stato Italiano, la cui costituzione è fondata sul Diritto del lavoro; sia professionalmente, in quanto mi sento trattata, nei diritti, diversamente da chi svolge la mia stessa professione ma in modo stabile. I diritti negati li ho sperimentati in situazioni particolari da me vissute, come quando per un intervento chirurgico, che ha richiesto una degenza superiore a 30 giorni, mi sono vista la busta paga decurtata per via delle forme contrattuali. E nei momenti di bisogno della mia famiglia, per affrontare spese extra, non ho potuto usufruire di un fido, non avendo una posizione economica stabilizzata e questo nonostante io presti in modo ininterrotto il mio lavoro da ben 32 anni. Vorrei omettere, ma non posso, l’impossibilità di godere, di giorni di permesso retribuiti per motivi familiari. La mia presenza qui nasce dal malessere di sentire lesa la mia dignità di persona e di lavoratrice che con la sua attività contribuisce alla crescita della società. Confidando che, questa mia situazione, come quelle di altri come me, trovino una soluzione, la ringrazio di avermi ascoltata.

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