Il processo di regionalizzazione rischia allora di accentuare le tendenze disgreganti che vogliono distinguere e separare le esperienze scolastiche realizzate sul territorio
Tutto è cominciato a febbraio, quando è stato dato il via libera dall’attuale governo alla richiesta di autonomia differenziata di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Ma l’iter si è bloccato a causa del capitolo scuola.
Quello della scuola è un nodo ben più ostico da sciogliere. Se la bozza di accordo sull’autonomia dovesse passare, difatti, sarà fatta rientrare nella competenza regionale la potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione con riferimento a: organizzazione del sistema educativo regionale; finalità e programmazione dell’offerta formativa; valutazione del sistema; alternanza scuola-lavoro; rapporti con le scuole paritarie; organizzazione del rapporto di lavoro del personale dirigente, docente, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche, anche mediante contratti regionali integrativi; organizzazione della rete scolastica sul territorio.
Tra le conseguenze immediate della riforma si avranno quindi inquadramenti contrattuali del personale su base regionale; retribuzioni, sistemi di reclutamento e di valutazione disuguali e percorsi educativi diversificati.
Regionalizzazione: quali rischi?
Il processo di regionalizzazione rischia allora di accentuare le tendenze disgreganti che vogliono distinguere e separare le esperienze scolastiche realizzate sul territorio.
La scuola pubblica statale, al contrario, dovrebbe sempre rappresentare un caposaldo dell’unità nazionale e il suo progetto educativo garantire il pluralismo tra visioni e posizioni diverse. Se cos®¨ non fosse, si rischierebbe di restringere la visione dell’istruzione e del progetto formativo alle particolarità territoriali, quando sarebbe indispensabile ampliare la visione dei giovani alla dimensione europea.
Un secondo rischio è dato dalla potenziale apertura ai gestori privati, che quasi mai si sono preoccupati di tenere alti gli standard di formazione. Se alle Regioni spetterà anche decidere i fondi da assegnare alle scuole paritarie allora è ovvio pensare che il loro numero aumenterà in maniera considerevole con aggravio di costi a carico dello Stato.
La regionalizzazione inciderebbe anche sulle procedure di assunzione del personale della scuola, non tanto perché si avrebbero concorsi banditi a livello regionale, ma piuttosto in quanto le relative graduatorie diventerebbero regionali, con una conseguente maggiore rigidità nella mobilità territoriale degli insegnanti, fino ad arrivare al punto di impedire loro di trasferirsi liberamente lਠdove maggiore è la disponibilità di cattedre.
I rischi paventati potrebbero avere un riflesso anche nella sfera normativa e retributiva del personale della scuola; il contratto della scuola è già nuovamente scaduto e non si intravedono risorse adeguate per un rinnovo: l’adeguamento delle retribuzioni degli insegnanti italiani ai parametri delle retribuzioni europee continua a rimanere un miraggio e, in più, con la regionalizzazione non si esclude una diversificazione retributive del personale in servizio tra una regione e l’altra. evidente che le Regioni del Nord, che dispongono di maggiori risorse economiche, potranno rafforzare il sistema d’istruzione del loro territorio e al contrario le Regioni del Sud vedranno amplificate le loro già evidenti difficoltà. Prevarrà la logica del distinguere piuttosto che quella dell’unire: esattamente il contrario di quanto affermano i principi costituzionali.