Per la didattica a distanza ci vuole tempo e preparazione. Quello di questi giorni è solo insegnamento remoto di emergenza
La didattica a distanza, spinta dall’ emergenza epidemiologica da Covid-19, è ormai entrata nella quotidianità di studenti e docenti. Da un giorno all’altro ci siamo svegliati con le scuole chiuse, obbligati a dover ripensare i modelli educativi e a orientarci verso una didattica al passo coi tempi, più moderna e tecnologica, con lezioni e materiali virtuali accessibili da casa con un “click”. Nella ricerca affannosa di continuare l’attività didattica, sospesa in presenza, il Ministero dell’istruzione ha caldeggiato l’utilizzo della didattica a distanza, quasi che fosse una azione automatica passare da quella in presenza a un’attività in modalità remota.
Ma mentre in un primo momento l’idea di una didattica a distanza si appellava all’iniziativa dei singoli docenti invitandoli a mettere da parte i propri diritti e a donare le proprie competenze e il proprio lavoro direttamente agli alunni, con il decreto legge 8 aprile 2020 n.22, è stato stabilito in modo perentorio che “il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione”. Si è passati, quindi, dalla possibilità alla obbligatorietà di offrire agli studenti e alunni una attività di didattica a distanza in questi ultimi mesi che ci separano dalla conclusione dell’anno scolastico 2019/2020.
Appare chiaro, allora, che il DL 6 aprile 2020, avendo un impatto decisivo sull’organizzazione del lavoro degli insegnanti, necessita dell’attivazione di un tavolo negoziale con le organizzazioni sindacali rappresentative per definire in questo periodo un nuovo e adeguato contratto di lavoro. Ma per fare bene e stabilire i nuovi impegni di lavoro occorre un tempo adeguato. L’attivazione della didattica a distanza (DAD) in questo periodo da parte della quasi totalità dei docenti, che hanno messo avanti l’etica professionale prima delle disposizioni contrattuali, ha fatto emergere problemi e perplessità.
Per il mondo della scuola, l’attivazione della DAD è stata una esperienza sostanzialmente nuova. Ai docenti è stato chiesto di coinvolgere le classi con modalità inedite e con piattaforme e percorsi spesso sconosciuti. Nessuna formazione, tranne qualche eccellenza che ha potuto contare su fondi e contributi extra, è stata dedicata e pensata per la scuola e per il personale scolastico. È stata di fatto azzerata la distanza tra scuola e famiglia; ci si ritrova “in casa” (in videoconferenza) il docente e tutta la classe, rideterminando così spazi e ruoli. Attività di coding, uso delle Lim, fruizione di video, che prima erano immediatamente fruibili dai ragazzi attraverso l’attività in presenza, adesso vengono filtrate attraverso lo schermo. La strumentazione a disposizione, inoltre, si è rivelata limitata o comunque non sufficiente alle reali esigenze (pensiamo alle reti wireless mal funzionanti o ai computer d’annata).
I dati Istat, pubblicati il 6 u.s., fotografano in modo chiaro la situazione degli spazi in casa e della disponibilità di pc e tablet nelle famiglie italiane. Il 33,8% delle famiglie non ha un computer o un tablet in casa; nel mezzogiorno la percentuale sale al 41,0%. Il 57% degli studenti (tra 6 e 17 anni) deve condividere il pc o tablet con gli altri componenti della famiglia, mentre soltanto il 6,1% vive in famiglie dove è presente un pc o tablet per ogni componente. Riguardo alle competenze digitali i due terzi dei ragazzi presentano competenze basse o di base, il 3% non ha alcuna competenza digitale.
Questi dati fanno emergere una situazione già presente ma che nessuna emergenza aveva mai indotto ad affiorare. Certamente il finanziamento dei 70 milioni di euro previsto all’art.120 del DL 18/2020 per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, dispositivi digitali individuali, anche completi di connettività è una buona cosa, ma bisognerà pensare a interventi di lungo termine per assicurare a tutti gli studenti l’utilizzo di nuove tecnologie e mettere tutte le famiglie e i loro componenti nelle condizioni di fruire di device informatici.
Deve essere chiaro che non è possibile improvvisare una didattica a distanza nell’arco di una settimana oppure di un mese. Se solo provassimo a chiedere agli esperti universitari che si occupano da anni di didattica a distanza, questi ci direbbero che “il tempo tipico di pianificazione, preparazione e sviluppo di un corso universitario completamente on line è di sei a nove mesi prima della consegna del corso” [1]. Pensare ad esempio di proporre in una video conferenza le stesse ore in presenza è semplicemente irrazionale: “Pensare che la Didattica a distanza possa rispettare gli orari della Didattica in presenza è una pericolosa perdita di tempo. Mimare da remoto, attraverso video incontri o lezioni frontali, i tempi della presenza significa stare dentro un medium senza averne capito nulla.”[2]
Pensare, quindi, che ciò che è stato fatto in brevissimo tempo sia didattica a distanza è semplicemente presuntuoso. Costruire una efficace didattica a distanza esige la predisposizione di un solido ecosistema educativo. In questo momento sarebbe più utile dire che, a causa dell’emergenza epidemiologica, la didattica in presenza è stata sostituita da un insegnamento remoto di emergenza[3] (ERT – Emergency Remote Teaching), che abbia come obiettivo quello di fornire velocemente un accesso temporaneo all’istruzione e ai supporti didattici.
Certamente quando si sarà usciti da questa situazione di emergenza sarà necessario ripensare la “professionalità del docente” in un quadro normativo che non può essere più quello attualmente vigente. Un vero ripensamento, per essere tale, deve coniugare, innanzitutto, i fabbisogni formativi specifici con i modelli teorici educativi, in relazione anche alle risorse formative disponibili, siano esse di natura tradizionale/tecnologica, individuale/sociale.
Adesso ciò che è complicato è trovare un accettabile equilibrio tra la funzione docente così com’era fino a un mese fa (o poco più) e la nuova dimensione, nella quale riuscire a far capire agli alunni (a quelli più grandi in particolare) che “l’ERT – insegnamento remoto di emergenza” è un’opportunità per ricostituire un legame che ci consenta di proseguire un percorso scolastico che, adesso più di prima, si pone come obiettivo primario la crescita umana. Le conoscenze disciplinari costituiscono solo una parte di questo percorso di crescita umana, pertanto i docenti non siano ansiosi di mantenere il passo dello svolgimento del programma.
L’ambito in cui questo percorso si realizza è, e resta, quello della scuola, ma in una prospettiva che non coincide più con quella programmata a inizio anno scolastico, che va pertanto profondamente ripensata in una dimensione temporale che dovrà andare oltre i tempi dell’emergenza.
[2] Stefano Stefanel, Dirigente scolastico