Nell’ultimo biennio, si sta assistendo ad una vera e propria escalation di eventi in cui, protagonisti gli adolescenti, i casi di violenza e aggressione fisica la fanno da padrone.
Cresce sempre di più il fenomeno della violenza tra i ragazzi. Ne parliamo con lo psicoterapeuta Stefano Callipo, presidente dell’Osservatorio Nazionale Violenza e Suicidio.
Perché sono cresciuti i fenomeni di violenza tra i giovani?
“I giovani oggi costituiscono la categoria che ha più pagato le restrizioni dell’era Covid, non solo perché è stato stravolto il loro contesto di appartenenza, necessario per il delicato momento evolutivo, ma anche per tutti gli effetti indiretti, tra i quali l’aumento dell’esposizione alla violenza e dinamiche di forte conflitto intrafamiliare. Nel post Covid abbiamo assistito ad una esacerbazione di focolai di violenza e di criminalità minorile che hanno attraversato trasversalmente sia il territorio italiano che le aree geografiche limitrofe. Ciò che preoccupa sono due fattori importanti che non devono essere sottovalutati: l’abbassamento dell’età dei soggetti coinvolti e l’efferatezza dei crimini violenti, un aumento di violenza sessuale di gruppo e stupri”.
Chi sono le vittime degli atti di violenza?
“Le categorie di vittime di atti di violenza sembra stia cambiando. Prima erano presi di mira maggiormente i ragazzi economicamente meno fortunati, residenti in zone periferiche o degradate. Oggi le vittime tendono ad appartenere a qualsiasi area sociale e vengono colpite anche in zone più centrali e, a volte, in pieno giorno. Si sta abbassando anche l’età della vittima. Il gap generazionale, mai alto come oggi, non permette una funzionale comunicazione con i propri genitori, oggi sempre più incapaci di cogliere quei segnali di malessere a volte molto evidenti”.
Come dovrebbero intervenire, a suo avviso, la famiglia e poi la scuola per arginare fenomeni di questo tipo?
“La scuola oggi ha perso il potere educativo sostituito esclusivamente da quello istruttivo. Tale incapacità si incrocia con la crisi genitoriale sempre più distratta verso il proprio ruolo normativo. Da tale quadro vengono meno i riferimenti assiologici, valoriali e affettivi di cui i soggetti in età evolutiva hanno bisogno. Si dovrebbe iniziare dalla famiglia, nel rispetto dei ruoli (mi viene la pelle d’oca quando sento mamme dire di essere le migliori amiche delle loro figlie, come fosse un vanto) per i quali i genitori sono genitori ed i figli devono fare i figli. Punto. Per arginare la violenza non serve incrementare l’azione repressiva, poiché da sola non basta. Spesso i giovani si rendono conto della gravità dell’atto commesso e delle pene soltanto a reato compiuto. Occorre puntare su un’azione di prevenzione selettiva e primaria, coinvolgendo gli attori sociali, le famiglie e le scuole. Serve un quadro normativo più incisivo nei suoi aspetti preventivi e formativi, capace di fornire strumenti utili per tutti i protagonisti dell’humus dove cresce e si forma il giovane”.
Se l’attuale situazione non dovesse trovare una battuta d’arresto cosa potrebbe prospettarsi per le generazioni future?
“Le generazioni future rischiano di crescere e vivere in una società dove i riferimenti valoriali ed affettivi vengono cercati sui social, dove esprimono la propria comunicazione emotiva, non cercandola più nella famiglia. Così facendo aumentano ancor di più la distanza con i propri genitori, sempre più distratti dai loro compiti di ruolo. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta, ma serve, a mio avviso secondo un approccio biopsicosociale, la sinergia di ruoli chiave quali il legislatore, la scuola, la famiglia e gli attori sociali. Perché la generazione futura la stiamo preparando noi”.