Scriveva Giuseppe Paschetto1 nel mese di marzo all’inizio dell’esperienza della DAD: “L’Italia al tempo del coronavirus può anche essere vista come ambiente in cui si sta svolgendo un gigantesco esperimento sociologico che coinvolge ovviamente anche i ragazzi, gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. La clausura forzata che assume caratteristiche sempre più stringenti, la lontananza dalla scuola, l’ansia per quanto sta succedendo nel Paese, sono elementi del tutto nuovi e che sicuramente lasceranno il segno. La scuola si è subito mossa per trovare soluzioni praticabili, il governo ha messo in campo idee, strumenti operativi, indicazioni organizzative. In tre parole, fino a poco tempo fa quasi del tutto sconosciute come del resto il termine Covid, si condensa l’impegno degli insegnanti che da un mese hanno dovuto reinventarsi un ruolo: la DAD”.
È trascorsa l’estate, abbiamo iniziato a fatica l’anno scolastico in presenza e ora stiamo rivivendo la stessa esperienza con parecchi problemi e, talvolta, rabbia per la difficoltà ad interagire con gli alunni a distanza. Ma questa rabbia e questo senso di frustrazione è giusto proiettarlo nelle nostre classi? È giusto continuare la nostra lezione come se i ragazzi fossero ancora in aula? È un momento difficile per tutti dove occorre far emergere il meglio da ciascuno di noi, evitando di entrare nel tormentone delle lamentele e dello sconforto. Ho trovato colleghi davvero empatici consci del fatto che occorre soprattutto la vicinanza agli alunni, l’attenzione alle relazioni interpersonali, informandosi sul come “vivono” il momento presente, facendogli capire che se hanno bisogno noi ci siamo. Esiste, poi, la scuola come comunità educativa: alunni, docenti e genitori che camminano insieme. Le lezioni in DAD non sono solo programmi, interrogazioni, spiegazioni infinite. Ci dimentichiamo che la mente ha dei tempi di concentrazione diversi rispetto alla presenza.
Concludo con altre parole riprese da Paschetto: “Le scuole in cui già in condizioni normali la didattica è esperienziale, cooperativa, aperta al territorio, attenta alle specificità di ogni alunno riescono a trovare anche in questa situazione il modo per continuare ad essere un riferimento per perpetrare la “bella scuola” di cui sono protagonisti coi loro ragazzi. Per tutti gli altri dovrebbe essere un modo per mettersi in gioco in modo diverso, fuori dagli schemi”. Umanizziamo la DAD, ricordando che dietro al computer ci sono sempre delle persone.
1. Cfr. Tutta un’altra scuola. Paschetto G., Empatia innanzitutto, Tutt’altra scuola , marzo 2020.