Associare l’estate a una valigia non è una forzatura simbolica. Per molti con l’arrivo delle vacanze si concretizza la voglia di viaggiare e di evadere dalla quotidianità. Al di là dei percorsi scelti, delle distanze, dei mezzi, delle mete da raggiungere o delle finalità del viaggio si realizza uno spostamento da un “qui e ora” a un altrove che può diventare luogo dell’anima o semplicemente spazio geografico in cui recuperare energie.. Il viaggio è fondamentalmente ricerca di qualcosa. Lo sapevano Marco Polo, Cristoforo Colombo, Ferdinando Magellano… ne erano consci i pellegrini medievali così come i popoli nomadi che hanno cambiato le pagine della storia. Che cosa cercavano? La fama, la ricchezza, nuove terre da conquistare, la risposta alle proprie preghiere, il perdono…? Ciascuno perseguiva sogni e aspettative raggiungibili solo uscendo dai confini del proprio presente per andare oltre anche se ciò era rischioso. Per gli uomini del passato come per quelli di oggi il viaggio non era e non è solo uno spostamento nello spazio, è anche una proiezione nel tempo che si può misurare in ore, giorni, settimane ma anche in anni. Avere chiari la meta, la durata e lo scopo diventa essenziale per capire cosa mettere in quella valigia che accompagna il tragitto e che può diventare l’unico legame con ciò che si è lasciato perché non si viaggia solo per andare in vacanza: si decide di partire anche per fuggire dalla guerra, dalla miseria o dalla prospettiva di un futuro incerto diventando così migranti. Migranti sono stati gli ominidi che hanno preso vita in Africa; migranti sono stati tanti popoli dell’antichità; migranti siamo stati noi italiani tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento; migranti sono oggi gli uomini e le donne cittadini del mondo che si spostano verso l’Europa, l’America o altre destinazioni. Migranti e rifugiati continuano a incrociare i nostri passi talvolta senza incontrare il nostro sguardo. Portano con sé valigie che non somigliano a quelle che chiuderemo nel ripostiglio al termine delle vacanze. Camminano per le nostre stesse strade celando dentro di sé il vuoto di ciò che hanno perso lungo il tragitto proprio come raffigurano in modo profondo le opere di Bruno Catalano. Esseri umani che cercano luoghi dove vivere… talvolta sopravvivere, che non vogliono essere dimenticati e vorrebbero raccontare la loro storia. Persone che nel viaggio non sempre troveranno ciò che speravano di trovare. Esseri umani che, magari, all’avvio del prossimo anno scolastico, si siederanno tra i banchi delle nostre scuole e ai quali verrà consegnato l’elenco di ciò che dovranno avere nello zaino dimenticando di chiedere loro cosa hanno conservato nella valigia che hanno portato con sé agendo con la stessa indifferenza con cui in passato furono trattati gli italiani che migrarono per cercare un futuro diverso per i propri figli. In “Vita”, il suo bellissimo romanzo, Melania Mazzucco scrive: «Mio nonno era emigrato per fame, come milioni di italiani. Da bambina, mio padre mi aveva raccontato la sua odissea. Ma io l’avevo dimenticata. Come aveva fatto il mio paese. Tutti noi avevamo operato – inconsapevoli o deliberatamente – una chirurgica rimozione della memoria. Come se l’emigrazione fosse stata una vergogna nazionale, da cancellare. La ferita si era rimarginata, lasciando una cicatrice indelebile – ma invisibile, segreta, individuale». (Mazzucco Melania, Vita, ed. Einaudi) Durante questa estate, dunque, portiamo con noi le nostre valigie e mettiamoci in viaggio alla ricerca di un nostro dove e di un nostro quando. Camminiamo per le strade del mondo consapevoli che siamo un popolo di migranti su un pianeta che abbiamo il dovere di custodire, ma che non appartiene a nessuno.
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