Dentro Gaza, oltre il muro: Valerio Nicolosi racconta la Palestina che i media ignorano
- Alberto Piccioni
- 10 set
- Tempo di lettura: 3 min
“L'equidistanza è schierarsi col più forte”. Parte da qui il giornalismo di una delle voci più rigorose nel raccontare le rotte migratorie e il Medio Oriente. Giornalista, fotografo, regista e podcaster mette al centro del suo ultimo libro ‘C'era una volta Gaza. Vita e morte del popolo palestinese’ (Rizzoli, 2024), una Palestina raccontata dall'interno, senza sconti. Con una narrazione che rifiuta la neutralità, considerata dall'autore una forma di complicità."

Dove si traccia il confine tra giornalismo e attivismo e come si evitano le trappole della propaganda?
Credo che il giornalismo debba essere rigoroso ma parziale. Raccontare è già interpretare la realtà. Chi si dichiara equidistante mente sapendo di mentire. Ho voluto mettere subito le cose in chiaro con i lettori: io sto da una parte, ma sono rigoroso. Nel libro infatti critico tutti: Hamas, l’Autorità Palestinese, Israele. Se oggi dicessi di essere equidistante, mi sentirei complice del genocidio in corso a Gaza. Ho visto la vera faccia del progetto coloniale israeliano: non si può essere neutrali di fronte all’assedio e all'occupazione.
Nel libro descrive il checkpoint di Erez, con il suo inquietante "cinguettio di uccelli metallico", come un luogo finto. Quanto è difficile superare le barriere, non solo fisiche, ma soprattutto psicologiche per raccontare Gaza dall'interno?
È un esercizio continuo. L'assedio di Gaza prima del 7 ottobre era soprattutto psicologico. Lo era per noi che provavamo a entrare, lo era per chi ci viveva. L'occupazione ti rende la vita impossibile e lo fa con una pressione psicologica costante. Penso agli studenti con borse di studio per l’Italia a cui Israele non ha mai detto di no: li ha fatti attendere ogni giorno, rimandandoli indietro sistematicamente. Questo scoglio si supera solo andando sul campo, parlando con le persone, capendo che la dimensione psicologica dell'assedio è la più importante.
La storia palestinese sembra un ciclo infinito di esodi e catastrofi. C'è una via d'uscita da questo labirinto?
L'unica via d'uscita è una: il ritiro totale delle colonie e la nascita di uno Stato palestinese con continuità territoriale tra Cisgiordania e Gaza. È realizzabile? Ad oggi credo di no. In Cisgiordania ci sono un milione di coloni armati contro quattro milioni di palestinesi. Il rischio vero è quello di un'altra Nakba, forse più grande di quella del '48. Credo che l'annessione totale della Cisgiordania avverrà prima di quanto pensiamo.
La narrazione israeliana del "tutti terroristi" si scontra con la realtà di una società complessa e stratificata. Quanto è difficile oggi far passare questa complessità oltre il muro della propaganda e della semplificazione mediatica?
All'inizio erano tutti militanti di Hamas, ora sono poveracci che chiedono da mangiare. La realtà è un'altra: a Gaza ci sono laureati, ingegneri, giornalisti, un livello di istruzione altissimo, anche tra le donne. Ho conosciuto giornaliste e donne senza velo: non è l'Afghanistan. La maggioranza della popolazione non aveva nemmeno l'età per votare nel 2006, quando Hamas vinse. Oggi vedo una distanza siderale tra l'opinione pubblica, molto più critica verso Israele, e i grandi media che hanno coperto il genocidio.
Le sue pagine mettono in scena due forze opposte: un'umanità che si aggrappa alla normalità e un odio che genera altro odio. Usando la ragione e non la speranza: quale delle due forze prevarrà?
Da ottimista, direi la prima. Ma sono realista e il pessimismo è figlio della ragione: prevarrà la seconda. Anche se ci fosse una tregua, l'obiettivo di Israele è la distruzione totale, non solo di Hamas, ma del popolo palestinese. La prospettiva è la deportazione dei palestinesi e l'estensione dello Stato di Israele dal fiume al mare. Non si fermeranno davanti a niente
"L'unica via d'uscita è una sola il ritiro totale delle colonie e la nascita di uno Stato palestinese tra Cisgiordania e Gaza. Ma ad oggi non è realizzabile. In Cisgiordania ci sono un milione di coloni armati contro quattro milioni di palestinesi. Il rischio vero è quello di un'altra Nakba più grande di quella del '48."