Autore di testi teatrali e di saggi sulla persecuzione antisemita, il sessantaquattrenne scrittore di Rovereto ci conduce con il suo nuovo libro ‘Entrare nel male’ (ViTrenD edizioni). Dove sviscera il nazi-fascismo, l'orrore più grande del secolo scorso.

E’ possibile per una persona ‘normale’ comprendere il male “al suo interno”?
Entrare in un Campo chiama anzitutto all’ascolto del silenzio. Emergono così, non solo voci, latrati, memorie e dolore, ma anche parole che indicano fin dove può spingersi l’uomo quando si lascia abitare dall’odio
Lei critica i turisti che "sorridono mentre addentano un burger" ad Auschwitz. Perché è così difficile entrare in contatto con l'orrore di questi luoghi?
Talvolta, ho la sensazione che non si voglia veramente conoscere, anche per non dover scoprire la nostra intolleranza e razzismo. Il caso polacco che vieta per legge di riconoscere il coinvolgimento della popolazione nello sterminio degli ebrei è, in proposito, eclatante. I Lager rappresentano un assillo continuo. Per questo si tenta di musealizzarli, anche attraverso una “lettura turistica” dell’entrata nel male
“I campi sono prima di ogni altra cosa un camposanto dove è seppellita l'umanità". Come concilia questa affermazione con l'idea che i campi siano stati pensati come luoghi di lavoro?
Superate le confusioni iniziali, i campi vengono finalizzati alla produttività. ‘Arbeit’ è un imperativo categorico. Non c’è detenzione senza lavoro e ciò risponde ad un doppio scopo: la produzione da un lato e la consunzione dell’individuo, ormai spersonalizzato, dall’altro
Lei descrive i campi come luoghi dove "l'odio e l'intolleranza prendono il sopravvento sulla ragione". Come si spiega la partecipazione di persone normali a questa macchina di sterminio?
La dottrina e la propaganda hanno una funzione essenziale nella trasformazione degli individui. Un po’ come avviene oggi con le fake-news. Dopo la guerra, l’orrore viene archiviato e l’individuo riallaccia i fili con la sua vita precedente. Dopo aver ucciso decine di bambini nei Lager, la dottoressa Oberheuser, sconta qualche anno di prigione e poi ritorna a fare la pediatra. Il male è anche questo
Il suo libro si conclude con un appello alla memoria e alla comprensione. Qual è il messaggio più importante che spera di trasmettere ai lettori?
Nessun messaggio. Non ho alcuna presunzione in proposito. Spero solo che queste pagine aiutino a riflettere, soprattutto oggi davanti al risorgere dell’insensatezza antisemita. Fare memoria è l’unica arma possibile, anche se talora appare insufficiente. Ma è comunque indispensabile
"Dopo la guerra, l’orrore è stato archiviato e ognuno ha riallacciato i fili con la sua vita precedente. Dopo aver ucciso decine di bambini nei lager, la dottoressa Oberheuser, ad esempio, è tornata a fare la pediatra. Spero solo che queste pagine aiutino a riflettere davanti al risorgere dell’insensatezza antisemita. Fare memoria è l’unica arma possibile e indispensabile".