top of page
Immagine del redattoreAlice Xotta

“IO CHE NON VIVO PIU’ DI UN’ORA SENZA TE”

Il pericolo della dipendenza affettiva nella relazione con l’altro

“Io che non vivo più di un’ora senza te” canta Pino Donaggio, chiedendosi poi “come potrei fare una vita senza te?”


Chi non si è posto questa domanda almeno una volta per una persona a cui tiene? Non mi riferisco soltanto a una relazione amorosa, ma a tutte quelle relazioni dove una persona si sente visceralmente legata ad un’altra tanto da andare in sofferenza solo immaginandosi di poter perdere l’altro. A volte non serve neppure perdere l’altro. Talvolta basta soltanto l’idea che l’altro non stia con noi quanto desideriamo o che abbia qualche impegno che lo costringa ad allontanarsi momentaneamente.


Molte persone soffrono la lontananza da chi amano: un partner che viaggia per lavoro, un amico che parte per una nuova esperienza nel mondo, un figlio che cresce e inizia l’università. Sono migliaia le situazioni in cui entriamo in sofferenza perché l’altro sembra allontanarsi da noi.


Molto spesso queste situazioni vengono controllate con la forza della ragione, che fa subentrare il pensiero razionale con il quale capiamo l’ovvia esigenza altrui di avere una vita distinta dalla nostra, ma nonostante ciò molte persone continuano a percepire interiormente della sofferenza da allontanamento che, per quanto venga repressa o negata, continua a sostenere una forma di malessere che si manifesta in ansia, apprensione, angoscia.

Potrebbe risultare idealmente magico non riuscire a stare senza l’altro, la canzone citata nel titolo passa alla storia infatti come una delle canzoni più romantiche di sempre, ma stare lontani da chi amiamo non dovrebbe condurre ad uno stato di sofferenza continua, in quanto se questo si verifica potrebbe essere segnale della cosiddetta Dipendenza Affettiva.

Cosa si intende con questo termine? Con dipendenza affettiva s’intende uno stato patologico in cui la relazione è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza.


Nella pratica clinica accade frequentemente di dover accogliere questo genere di situazioni, persone straziate dal dolore di non avere sempre qualcuno vicino a sé, un amico, un partner, il proprio figlio o genitore. Quando a queste persone chi chiede qual è il motivo per cui sentano di amare così intensamente l’altro, non è raro trovare chi, per esprimere il massimo sentimento che sente di provare nei confronti del partner, dice "io l* amo, perché ho bisogno di lui/lei".


Da questo punto di vista il famoso mito di Platone ha contribuito per secoli a costruire la credenza secondo cui tutti noi siamo esseri incompleti alla ricerca della metà perfetta che possa completare il nostro essere. Un mito che, per quanto romantico, ritengo essere altamente pericoloso: annullando l’individualità, spezza la capacità d’autonomia e completezza del proprio sé.


Vaghiamo quindi disorientati sperando di trovare qualcuno che possa farci sentire definitivamente appagati e pieni. Un qualcuno in grado di soddisfare una serie di bisogni anticamente irrisolti e quindi fonte di insicurezza e malessere.

Credere di amare l'altro quando si sente il bisogno dell'altra persona ci trae in inganno: in realtà in questo modo stiamo amando in primis noi stessi donandoci un qualcosa che sentiamo di far fatica ad ottenere da soli (che sia l'autostima, una casa, la sicurezza economica o l'assenza di solitudine). Cresciamo convinti di aver necessità di qualcuno per riuscire ad avere tutto nella vita. Risulta difficile diventar consapevoli che non amiamo in realtà le caratteristiche dell’altro, alcune volte non vengono prese nemmeno in considerazione, in quanto quello che più vogliamo è ciò che offre alla nostra vita.


Quando cerco di far notare questo alle persone che seguo i loro occhi sembrano smarriti, capiscono perfettamente quanto ciò sia limitante, ma allo stesso tempo alcuni sembrano affaticati soltanto all’idea di dovercela fare da soli, mentre altri si mostrano addirittura increduli di poter essere completi realmente senza l’aiuto di qualcuno.


La sensazione di non farcela da soli, di non essere sufficientemente pieni e completi senza qualcuno vicino, riguarda alcuni bisogni inevasi il cui primo ingrediente è la paura dell’abbandono. Quest’ultima a volte può risultare così importante da spingere ad accettare qualsiasi forma di relazione pur di non stare soli. Rischiamo di raccogliere briciole d’amore anziché concentrarci sull’evoluzione della propria persona. Di gran lunga più intenso e qualitativamente sano è il presupposto di poter stare insieme senza necessariamente aver bisogno dell’altro.


Siamo mele complete, ammaccate da una parte o dall’altra, non sicuramente perfette come quelle negli spot pubblicitari certo, ma pur sempre piene e sazianti. Una persona può arrivare nella nostra vita per arricchirla e impreziosirla, ma della quale dobbiamo poter essere contenti indipendentemente dalla presenza altrui. L’altro può essere una piccola parte di noi stessi, ma non il nostro noi per intero. Solo in questo modo potremmo amare sinceramente l’altro e amare in primis noi stessi, in quanto per quanto possa risultare paradossale: più amo me stesso più sarò in grado di amare l’altro.

bottom of page