L'antidoto di Epicuro ai mali del nostro tempo
- Alberto Piccioni
- 10 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Nostra intervista a Enrico Piergiacomi, assistant professor al Technion in Israele. Una chiacchierata sul suo saggio ‘Gli esercizi di Epicuro. Discipline per il piacere”’ (Edizioni ETS). Un testo che esamina alcuni equivoci sul filosofo greco, provando a sgombrare il campo da ciò che si è sempre pensato.

L’antidoto di Epicuro ai mali della nostra epoca digitale: contro i desideri indotti dai social e l'isolamento, Epicuro offre esercizi pratici per la salute mentale. Una terapia per l'anima di estrema attualità secondo Enrico Piergiacomi, assistant professor al Technion in Israele e fellow dello stesso centro FBK. Una chiacchierata con lui in merito al suo saggio ‘Gli esercizi di Epicuro. Discipline per il piacere’ (Edizioni ETS) che è un testo che esamina alcuni equivoci sul filosofo greco.
Il suo lavoro ruota attorno a un paradosso: l'idea di una disciplina per il piacere. Come si conciliano questi due concetti in Epicuro?
“Sono due opposti concordi. Epicuro a volte loda il piacere nei suoi elementi più crudi, al punto da essere frainteso. Scriveva di non sapere concepire il godimento se gli tolgo il piacere dell'udito, il piacere della vista e anche i piaceri d'amore. Eppure, il suo pensiero è un richiamo costante al controllo. La chiave è il ‘sobrio calcolo’. Il fine ultimo resta il piacere, ma inteso in senso negativo: è la sottrazione di dolore e disturbi dal corpo e dalla mente, come il piacere della sazietà che segue la fame. Per raggiungere questa condizione serve una disciplina ferrea. A volte bisogna scegliere un dolore presente, come un'operazione medica, per massimizzare il benessere futuro. Anche la virtù si misura così: essere un uomo buono è più piacevole, porta beni come l'amicizia e la stima altrui”.
Lei parla di una "costante tensione mentale" del saggio epicureo, pronto a sacrifici estremi per gli amici. Non è una forma di ascetismo intellettuale, un nuovo tipo di eccesso?
“Il saggio epicureo ha una visione più ambiziosa e idealizzata di quello aristotelico. È una figura quasi infallibile, la cui azione si basa su una comprensione totale della natura e dell'organismo umano. Per questo, nella sua ricerca di conoscenza e miglioramento, non deve porsi limiti o freni: sarebbe un ostacolo al raggiungimento del piacere. Non è ascetismo, perché questa tensione mentale è sempre finalizzata a ottenere esiti piacevoli. È un'attività razionale che, come per Aristotele, è inseparabile dal piacere, ma con una differenza: per Epicuro non è piacevole in sé, ma perché ci permette di fare le scelte giuste per massimizzare il godimento”.
Quali strumenti pratici offre Epicuro per navigare i desideri indotti dai social media e dal
marketing di oggi?
“Propongo tre attualizzazioni dei suoi esercizi, pur con cautela, sapendo che Epicuro non poteva conoscere social media o marketing! La prima è l'igiene mentale: interrogarsi sempre sull'origine dei propri desideri. Bisogna chiedersi: è un mio desiderio autentico o è indotto? Dove mi porta se lo soddisfo e cosa succede se non lo faccio? La seconda è la cura dei rapporti interpersonali, soprattutto l'amicizia. I social creano isolamento; Epicuro insegna a scegliere pochi amici veri, esercitando anche lì il sobrio calcolo per capire dove porterà la relazione. Non è una fredda analisi razionale però: non si tratta di ‘mercanteggiare con il piacere’ ma di trovare un equilibrio tra utile e affetto. L'ultimo esercizio è la contemplazione della natura. Per Epicuro era una forma di conoscenza fisica: la morte, infatti, per lui non è un male perché è cessazione dei sensi, i canali con cui percepiamo beni e mali. Per noi oggi la contemplazione della natura, può diventare una ricerca dell'oggettività: un antidoto contro le false rappresentazioni digitali, uno sforzo per capire cosa ci fa stare veramente bene”.
Qual è il più grande fraintendimento sull'edonismo che ancora oggi persiste e quale spera sia il contributo del suo lavoro per dissiparlo?
“Sicuramente la ritrosia a usare la parola ‘piacere’. Pesa ancora su questo termine un'idea di vergogna, di egoismo. Chi legge Epicuro da vicino, però, vede che il piacere non deve avere necessariamente questa nomea. Può essere letto in modo meno ideologizzato, semplicemente come ‘stare bene’. E chi non vuole essere felice? Spero che i miei studi, nel mio piccolo, aiutino a meditare su questi temi, magari portando le persone a leggere i testi. Sto anche lavorando sulla concordia tra piacere e religione: un altro apparente opposto che, storicamente, non è affatto in conflitto, come dimostrano pensatori rinascimentali come
Lorenzo Valla o Pierre Gassendi”.
Il saggio epicureo ha una visione ambiziosa e idealizzata. È una figura quasi infallibile, la cui azione si basa su una comprensione totale della natura e dell'organismo umano. Per questo, non deve porsi limiti o freni perché sarebbe un ostacolo al raggiungimento del piacere. Non è ascetismo ma è un'attività razionale che, come per Aristotele, è inseparabile dal piacere.