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La comunicazione nell’attività didattica: prima forma dell’educare   

RIFLESSIONI OLTRE LA SOGLIA


comunicazione e didattica

Una domanda che è bene farsi, nel tempo dei social, è la seguente: Cosa vuol dire comunicare? Cosa vuol dire comunicare nella Chiesa, nella famiglia, nella scuola, nella politica, nella società, nel mondo del lavoro, nell’ambito culturale? Credo che la comunicazione sia anzitutto la prima forma dell’educare, in quanto la persona riceve dei messaggi con i quali impara a vivere, a capire sé stesso, la propria storia, le proprie radici, la propria cultura; se manca una comunicazione educativa, la persona rischia di trovarsi in un mondo senza conoscerne le caratteristiche e gli elementari metodi di sopravvivenza; si troverebbe sola, come un essere sperduto in mezzo al mare, senza le stelle e la bussola.  Se la comunicazione è la forma dell’educare, è anche vero che esistono nella nostra società modi negativi di comunicare che difficilmente aiutano le persone a crescere: ci riferiamo, ad esempio, alla comunicazione-plagio, alla comunicazione ideologizzata tipica del mondo della cultura politica, alla comunicazione spessa falsata della realtà mass-mediale etc etc…


La comunicazione è, poi, una necessità ed un bene, perché mette l’altro nelle condizioni di apprezzare e decidere sui contenuti che diciamo, perché attiva uno scambio in cui ciascuno porta all’altro la propria visione del vivere e la propria proposta. Il comunicare è un bene quando presenta alcuni elementi essenziali, come il richiamo dell’attenzione e la validità del contenuto che non deve essere banale ma capace in se stesso di risvegliare l’interesse di chi ascolta; ed ancora, l’atteggiamento con il quale si comunica, il rispetto e la verità. La comunicazione è sicuramente il cuore dell’attività didattica ma la sua efficacia dipende non solo da ciò che si dice, ma da come lo si dice e da come si costruisce una relazione con gli studenti.


La comunicazione verbale (linguaggio, tono di voce, ritmo) si intreccia indissolubilmente con la comunicazione non verbale (gesti, espressioni facciali, postura, contatto visivo); un docente che trasmette passione e sicurezza con il corpo e il tono di voce, rende l’apprendimento più coinvolgente; al contrario, un docente apatico o distaccato può demotivare gli studenti, anche se i contenuti sono eccellenti. Un tempo, il modello prevalente era quello della trasmissione unidirezionale: il docente parlava, lo studente ascoltava.


Oggi, l’educazione riconosce l’importanza dell’interazione, ragion per cui la comunicazione deve diventare un processo circolare in cui il docente non è più solo un oratore, ma un facilitatore del dialogo. Incoraggiare domande, stimolare discussioni e ascoltare attivamente le opinioni degli studenti sono azioni che trasformano la classe da un luogo di lezione a un luogo di scoperta e di crescita condivisa. Il vero educare si fonda sull’ascolto attivo.


Ascoltare non è semplicemente sentire le parole, ma comprendere il significato, le emozioni e le difficoltà che si celano dietro di esse. Un docente che pratica l’ascolto attivo dimostra empatia, creando un ambiente sicuro in cui gli studenti si sentono valorizzati e liberi di esprimersi. Questo legame di fiducia è cruciale per superare le barriere dell’apprendimento e per affrontare le fragilità personali, rendendo l’attività didattica un processo olistico che cura tanto la mente quanto l’animo.


"La comunicazione verbale fatta di linguaggio, tono di voce, ritmo si intreccia con quella non verbale fatta di gesti, espressioni facciali, postura, contatto visivo. E un docente che trasmette passione e sicurezza con il corpo e il tono di voce, rende l’apprendimento più coinvolgente mentre un insegnante apatico o distaccato può demotivare gli studenti."


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