In un’intervista al ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, pubblicata sul mensile Tempi di gennaio, emerge sempre più chiaramente l’idea di scuola di questo governo: classista, fortemente selettiva, antidemocratica, elitaria. A dire del ministro, solo una stretta cerchia ragazzi sarebbero portati per il ragionamento astratto, mentre gli altri dovrebbero sviluppare l’attività pratica e manuale. Lo conferma l’esempio che riporta al giornale: “Chi ha detto che l’intelligenza è solo quella astratta e non esiste invece anche un’intelligenza pratica, concreta? Faccio spesso l’esempio di quel mio amico che andava male in italiano e matematica. Eppure, manualmente, era geniale, con capacità creative notevoli. Noi dobbiamo far passare questo messaggio: l’intelligenza concreta è allo stesso livello dell’intelligenza astratta”. Dunque, per il ministro, la missione della scuola sarebbe quella di far capire allo studente, e alla sua famiglia, l’importanza della sua intelligenza pratica e di far sì che vengano scelti per lui percorsi tecnico-professionali per lasciare agli altri – i pochi, ben collocati nella scala sociale – la scuola del sapere.
Il grande psicologo Gardner ringrazierà il Ministro per aver integrato la sua teoria delle intelligenze multiple con due altre intelligenze: astratta e manuale! Oppure sarebbe solo opportuno che il Ministro rileggesse Gardner, che nel descrivere le intelligenze multiple propone che queste siano individuate e sollecitate per favorire un apprendimento globale da parte dei nostri studenti. Almeno per evitare che queste idee dannose smantellino poco a poco la scuola democratica della nostra Costituzione.
La scuola che dà dignità a tutti gli studenti è un’altra: una scuola che li renda protagonisti, li faccia crescere, rendendoli liberi e consapevoli, che solleciti la capacità di elaborare strumenti nuovi e più adeguati a difendere, come suggeriva Don Milani, “le ragioni degli ultimi e di raddrizzare un mondo ingiusto”. Una scuola che permetta all’operaio e all’ingegnere, al farmacista e al contadino di parlare “da pari a pari” perché hanno “in comune il dominio della parola”.